L'utile proposta di Scalfarotto sul ddl Zan. La tracotanza british

Le lettere del 13 luglio al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - La perculazione e lo sfottò all’indirizzo di Albione, dopo la doppiamente amara (per loro) sconfitta in quel di Wembley, può piacere o no, ci sta tutta. Ci sta molto meno, anzi non ci sta affatto tutto questo politicamente corretto stracciarsi di vesti e ditini puntati contro gli sconfitti, colpevoli di leso fair play per – nell’ordine – a) aver fischiato l’inno italiano; b) non aver dato il cinque agli italiani durante la passerella finale; c) essersi tolti – orrore! – la medaglia dal collo un secondo dopo averla ricevuta. Tralasciando il non banale dettaglio che a proposito di inni fischiati noi italiani prima di inarcare sopraccigli dovremmo forse fare anche un veloce ripassino di storia (dice niente la finale dei Mondiali del ’90, e quel labiale di Maradona mentre tutto l’Olimpico spernacchiava  l’inno argentino?), e che di medaglie tolte è pieno l’inferno pallonaro (anche qui, nessuno escluso), l’aspetto su cui vale la pena soffermarsi è un altro. Ed è il fatto che nulla (o quasi) come lo sport (vale sommamente per il calcio ma non solo) è in grado di restituire una fotografia nitida e veritiera dell’umana natura. Con tutte le miserie e le nobiltà del nostro essere umani, appunto. Perché è senz’altro giusto e sacrosanto tappezzare le magliette dei giocatori con la scritta “respect” e lanciare urbi et orbi campagne di sensibilizzazione a favore del fair play, e avviare programmi formativi nelle scuole e e magari pure inginocchiarsi contro il razzismo, eccetera. Però poi c’è la realtà. Quella vera. E dire realtà vuol dire che se ho giocato e perso una finale di un Europeo dopo una battaglia di due ore; e se per questo sono incazzato come un toro di Pamplona e i coglioni mi girano a mille dalla rabbia che vorrei spaccare tutto; no, dico, in mezzo a questa tempesta di amarezza, dolore, frustrazione uno pretende pure – magari aggiungendo la motivazione del professionismo (come se un dilettante fosse perciò stesso autorizzato a scapocciare) – si pretende, dicevo, che io faccia il simpatico e l’educato, e che tenga sotto controllo le mie fottute emozioni e che magari ti dia pure una pacca sulle spalle? Prevengo l’obiezione: e Luis Enrique, allora? Che a fine partita ha fatto i complimenti all’Italia? Luis Enrique è stata una fulgida e benemerita eccezione, ed è sicuramente un esempio da additare. Ma, mi spiace, resta un’eccezione. La regola essendo che sì, prima durante e dopo una partita succede, può succedere quello che si è visto a Wembley (e lasciamo stare la violenza negli stadi, non c’entra nulla con quanto stiamo dicendo). E non perché gli inglesi siano particolarmente stronzi, no. Succede, o può succedere perché è così che funziona la natura umana. Chi più chi meno, nessuno escluso. Ben venga tutto ciò che possa servire a rendere più civili le competizioni sportive. Ma up to a point. Se e quando al posto degli umani ci saranno i robot, allora forse (forse) vedremo altre partite, sicuramente più “educate”. Ma anche più mortalmente noiose. Restiamo umani, grazie.
Luca Del Pozzo

Le svelo un segreto: non c’è nulla che faccia godere di più un tifoso che ha appena  visto vincere la sua squadra che vedere un tifoso avversario o un avversario della propria squadra impazzire di rabbia. E più che riflessioni sul politicamente corretto, parlando degli inglesi, varrebbe la pena concentrarsi su un’espressione forse più pertinente, con cui è probabile che anche Boris Johnson dovrà fare i conti: hybris, tracotanza. Amici che vivono a Londra raccontano che la stragrande maggioranza degli uffici della City venerdì aveva segnato il lunedì successivo alla finale di Wembley come di ferie per celebrare, non sappiamo se con karaoke in omaggio di Marco Travaglio, il trionfo certo dell’Inghilterra. Spiace davvero.


 

Al direttore - Dopo la sconfitta la Nazionale inglese si è comportata come Enrico Letta sul ddl Zan. Succede quando si osa affermare “aut Caesar aut nihil” di incassare solo un bel “nihil”, magari ai rigori.
Giuliano Cazzola

A proposito del ddl Zan. Ieri sulla Stampa, Ivan Scalfarotto, deputato di Italia viva, sostenitore di una mediazione sul ddl Zan, ha offerto un suggerimento prezioso: “Spostare l’attenzione dalle caratteristiche delle vittime – ovverosia dall’orientamento sessuale e l’identità di genere – al movente del reato”. Cioè, dice Scalforotto, punire i reati fondati su omofobia e transofobia concentrandosi  sulle motivazioni di chi compie il reato e tutelando così tutta la comunità lgbt ed evitando gli ostruzionismi sulla legge. Non una cattiva idea, no?

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