Sul ddl Zan va bene il dissenso, ma non così. Più serietà, please
Le lettere del 15 luglio al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Avanti popolo, alla riscossa! L’identità di genere trionferà!
Giuliano Cazzola
A proposito del ddl Zan. Sulla legge abbiamo molte perplessità, come abbiamo avuto modo di scrivere in questi giorni, e anche sul tema dell’identità di genere ci sarebbe molto da dire e andrebbero ascoltate con attenzione opinioni come quelle espresse dal presidente emerito della Consulta, Giovanni Maria Flick, convinto che rispetto al tema dell’articolo 1 della legge, quello relativo all’identità di genere, vi siano “valori che devono essere difesi e garantiti ma che nella norma si traducono in concetti vaghi, che possono aprire a eccessi interpretativi in sede giurisprudenziale” (in fondo è la differenza tra tolleranza e legittimazione). Eppure, ascoltando il dibattito in Senato, è difficile non dare ragione al nostro Michele Masneri, quando scrive: “L’ignoranza, il macchiettismo, la retorica da terza media: ci dev’essere lo zampino di qualche autocrate estero, perché il dibattito delle destre sullo Zan in senato è veramente il più potente spot antidemocrazia parlamentare mai visto”. Dissenso sì, ma non così.
Al direttore - Il non vaccinarsi è un diritto sacrosanto. Punto e basta. Spero non si vogliano discriminare centinaia di onesti e probi cittadini a favore dei milioni di irresponsabili che si sono fatti vaccinare. Poi, diciamolo tutta, gli effetti collaterali del vaccino ci sono e sono deleteri. Prenda me per esempio che sono un sincero democratico rispettoso delle opinione e dei diritti di tutti: se incontro qualcuno che rivendica il diritto di non vaccinarsi, ecco, m’incazzo come una bestia e mi viene di menarlo; è solo un attimo, passa subito, però mi rendo conto che ho messo in serio pericolo la democrazia. Io.
Valerio Gironi
Al direttore - Ho letto con interesse l’intervista rilasciata al vostro giornale dal vicepresidente del Csm in data 15 luglio 2021. Si ribadiscono, in continuità con precedenti dichiarazioni, alcuni concetti di fondo per lo più condivisibili; tra questi anche quello che “vada lasciato uno spazio di discrezionalità al Consiglio che è un bene prezioso e va preservato e che il Csm si deve meritare”. Il vero problema, come penso sia evidente, è il limite dello spazio di discrezionalità il cui superamento trasforma la natura dell’atto da un punto di vista tecnico in atto “politico”, da un punto di vista psicologico in violento atto di sopraffazione. Ogniqualvolta tali limiti sono palesemente “superati” vuol dire che si sono innescati meccanismi patologici con conseguente perdita di credibilità agli occhi di chiunque ne venga a conoscenza. Ciò, a mio avviso, è ancora avvenuto in occasione della recente deliberazione di nomina del presidente della Corte di Appello di Milano (ufficio tutt’altro che marginale) al punto che un controinteressato come me già al momento della comunicazione dei partecipanti, con sole 48 ore di “approfondimento”, ma oltre un anno prima la decisione poteva prevedere non solo un inopinato “verdetto” , ma anche la precisa distribuzione numerica dei voti. Tale “episodio” risale a pochi giorni fa e attesta che molta strada il Csm deve percorrere per arrivare a meritarsi la fiducia “bene prezioso” . Ed è evidente che ogni episodio aumenta il chilometraggio del percorso di risalita e allontana il traguardo auspicato. Ed è altrettanto evidente che , poiché il rinnovamento non è solo una operazione verticistica , ma deve nascere dalla base della comunità tale “episodi” lanciano chiari messaggi in ordine al peso preponderante delle “relazioni” così scoraggiando il rinnovamento stesso che certo non può essere raggiunto per via giudiziaria ,il cui unico concreto effetto è quello di ulteriore delegittimazione, ma solo con un sincero ius poenitendi (diritto di recesso, ndr). In conclusione ritengo che sarebbe ora che si passi dalle parole ai fatti. E poiché, nella mia visione, ciascun consociato di una comunità ha una corresponsabilità tanto più grande quanto più alta è la sua posizione auspico che il vicepresidente si interroghi con se stesso sul punto per verificare se nei fatti , molto più faticosi delle pur utili e apprezzabili parole, stia concretamente operando al fine da lui stesso indicato.
Massimo Terzi,
presidente del Tribunale di Torino