Lettere
Ricordare al Cacciari anti green pass la logica del Cacciari pro vax
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Colpisce nel lungo intervento di Cacciari (La Stampa, 28 luglio) sul green pass e sulle conseguenze del vaccino il ragionamento potentemente semplificatore delle cose. Colpisce l’assoluta assenza nel suo intervento della drammatica situazione in cui si è trovato e si trova il nostro paese. Si sottovaluta la contemporaneità mondiale del contagio che ha sconvolto il pianeta. Non si considera che l’unica via d’uscita di fronte a montagne di morti e una indicibile quantità di dolore sia stata fornita dalla ricerca scientifica che ha consentito di giungere in tempi incredibilmente brevi a predisporre il vaccino: l’unico strumento in grado di fronteggiare l’aggressione del virus. Nessun “ottimismo scientista”, sono consapevole delle zone d’ombra e dei problemi, ma andrebbe riconosciuto che in questo passaggio drammatico della vicenda umana scienza e competenze siano divenute le “custodi dell’umano, le garanti della sua esistenza”. Incomprensibile poi definire il green pass null’altro che “un mezzo surrettizio per prolungare all’infinito una sorta di micro lockdown”! E questo in un paese in cui un quarto della popolazione non è vaccinata e ognuno dei non vaccinati può “appiccare un incendio epidemico”. E il diritto a non vaccinarsi? Non tutti i diritti fondamentali hanno lo stesso rilievo scriveva Roberto Esposito. C’è n’è uno, quello alla vita, presupposto a tutti gli altri, incluso quello alla libertà. Perché un individuo o una società, possa essere libera, deve intanto rimanere in vita. E’ una preminenza al contempo logica e storica, che non è possibile ignorare. Mi sfugge infine il nesso, con cui esordisce Cacciari nel suo articolo, tra green pass e l’affermazione secondo cui vivremmo “in un contesto complessivo in cui cresce la crisi stessa dell’idea di rappresentanza”. Non c’è alcun dubbio che il sistema politico istituzionale non consenta più di attivare in modo efficace e all’altezza del compito la funzione del governare. I tre anni ultimi della legislatura ne sono l’estrema testimonianza. Senza un convinto e forte impegno riformatore delle istituzioni, la crisi in cui si trova l’Italia non si risolve e si aggrava. Non intendo tuttavia il nesso con l’affermazione perentoria di Cacciari secondo la quale il green pass costituirebbe addirittura un pericolo per la nostra democrazia. Lascerei poi perdere, con i tempi che corrono, le battute che vorrebbero essere ironiche sul green pass per la scarlattina cui prima o poi si giungerà e sul divieto di salire sul treno con la febbre che rischia di valere “da qui all’eternità”. Forse andrebbero studiate ulteriormente le tendenze masochistiche presenti nel mondo degli intellettuali.
Umberto Ranieri
O forse, molto semplicemente, bisognerebbe evitare di chiedere ad alcuni filosofi, tra l’altro non perfettamente a loro agio con la definizione di libertà, di filosofeggiare sui vaccini. E per capire perché Cacciari ha detto, sui vaccini, una quantità di fesserie non da poco, consigliamo, oltre che la lettura di Enrico Bucci oggi sul Foglio, la lettura di questa dichiarazione interessante. “Faccio un ragionamento puramente logico: ogni vaccinazione comporta un rischio e in certi casi delle controindicazioni, questa è scienza banale. Dopodiché sta agli scienziati rassicurare la gente, spiegare che i rischi sono minimi o inesistenti in base a dei dati. Come tutti gli interventi di questo genere, vale anche un calcolo di probabilità: è la storia famosa di quel tipo che annega attraversando un torrente che aveva l’altezza media di 5 centimetri. In un milione di vaccinati è chiaro che possono esserci quei 3-4 casi in cui il vaccino comporta conseguenze nefaste, ma questo non significa non vaccinarsi. Sono tutte ovvietà. La scienza è probabilistica e se sarò io quello che muore su un milione, pazienza”. Di chi è questa dichiarazione? Ovviamente di Massimo Cacciari (18 marzo 2021).
Al direttore - A cosa penseranno i leader politici dal 3 agosto? Penseranno solo al partito o anche allo stato? Penseranno solo ai giochi da fare nel Palazzo fino alla fine della legislatura, o avvertiranno anche l’urgenza di ristrutturare l’edificio in vista della prossima? Il 3 agosto, con l’inizio del semestre bianco, comincerà una fase nuova e tutto lascia credere che da quel momento l’attenzione dei capi politici sarà più che mai appuntata su obiettivi e calcoli di breve periodo: le elezioni amministrative, il posizionamento dei rispettivi partiti, le loro alleanze, l’elezione del nuovo presidente della Repubblica… Tutte cose importanti, ma non decisive. Decisivo sarà quel che accadrà dopo. Dopo che Mario Draghi sarà uscito di scena. Il suo ingresso a Palazzo Chigi ha conclamato una crisi di sistema, la sua uscita ci lascerà in balìa di un sistema in crisi. Sarebbe ingenuo pensare che le riforme del Pnrr siano sufficienti a risanarlo in profondità; sarebbe folle ritenere che l’efficacia luogotenenziale dell’attuale governo possa procrastinarsi oltre la fine dello stato di eccezione che l’ha consentita; sarebbe prudente ritenere che dopo la parentesi draghiana i cittadini non potranno più tollerare le inefficienze dello stato, la debolezza dei governi, la vetustà delle strutture pubbliche e delle loro politiche, e sarebbe saggio temerne la reazione. Se vogliamo scongiurare il fallimento o la sovversione, dobbiamo per prima cosa adattare alle esigenze presenti quella Legge fondamentale che ispira ogni legge del Parlamento, che indirizza ogni politica del governo, che determina le funzioni e i poteri dello stato in cui viviamo. Un abito cucito, assecondando stili a dir poco diversi, oltre settant’anni fa sulla gobba di un’altra Italia calata in un altro mondo. Oggi consideriamo imprescindibile mettere mano alla giustizia, alla burocrazia, al lavoro, al fisco, alle libertà, alla formazione, alla forma di governo, ai rapporti tra lo stato, le regioni e i cittadini, alla qualità del ceto politico… Messe insieme fanno una gigantesca riforma di sistema che potrà compiersi solo se ispirata e legittimata da una riforma costituzionale compiuta. Tra la fine della guerra e l’inizio della ricostruzione, in un clima di unità nazionale un’Assemblea costituente eletta dai cittadini su base proporzionale in 17 mesi diede all’Italia una Costituzione nuova di zecca. Sarebbe perciò non solo auspicabile, ma tecnicamente possibile che tra la fine del Covid e l’inizio della prossima legislatura un’Assemblea costituente eletta entro sei mesi dai cittadini adegui quella Carta allo spirito e alle esigenze attuali, come allora intervenendo su Diritti e doveri dei cittadini, Organizzazione costituzionale dello stato, Rapporti economici e sociali. “Quando la luce tornerà, non sarà tutto come prima”, ha detto Draghi nel suo discorso di insediamento. Sta ora a noi evitare di farci trovare in mutande quando, tra meno di due anni, i riflettori del mondo illumineranno di colpo l’Italia e al posto di Mario Draghi ci sarà, probabilmente, uno degli attuali leader di partito.
senatore Andrea Cangini, responsabile Cultura di Forza Italia
Al direttore - Dalle parole raccolte ieri su questo Foglio da Marianna Rizzini all’ex ministro dell’Istruzione Azzolina, una netta posizione politica da non lasciar cadere: “Gli studenti devono andare in classe. Tutti. Un green pass rischia di essere discriminatorio. Aumenterebbe la dispersione e non possiamo permettercelo”. La stessa linea espressa il giorno prima dalla professoressa Chiara Saraceno, attualmente consulente del ministro del Lavoro Andrea Orlando: “Occorre assumere la prospettiva per cui qualunque sia il livello di contagio non c’è alternativa alla scuola in presenza”. Come del resto non lo è stato per le fabbriche, i supermercati, i servizi pubblici che sin dal primo lockdown sono rimasti aperti senza divenire focolai. Mentre l’obbligo scolastico è sempre stato l’unico sacrificabile, forse perché l’unico a non necessitare di ristori. Ma c’è un’altra considerazione fondamentale che fa l’onorevole Azzolina, e che è stata l’unica fin qui a esprimere: “Il green pass – ha detto l’ex ministro a Marianna Rizzini – aumenta l’arbitrarietà, la soggettività dell’accesso a scuola. Non sarebbero i figli a decidere ma i genitori. E se i genitori non vogliono vaccinare, pagano i figli? Abbiamo bisogno che il governo dica tutti a scuola, scavalcando anche le regioni”. Secoli di lotta per l’obbligo scolastico, proprio per togliere alle famiglie l’arbitrarietà e quindi per garantire eguaglianza sociale nell’accesso all’istruzione, alla formazione e alla socialità, non possono essere consegnati né ad amministratori locali in perenne campagna elettorale né alla chat delle mamme che decide il futuro delle prossime generazioni sulla presunzione di una competenza vaccinale. Se si concede che si possa andare a scuola solo col green pass, bisogna mettere in conto che molti preferiranno non prenderlo. Limitando l’accesso all’istruzione e la riduzione del contagio. E nessuna di queste due cose è meno importante dell’altra.
Annarita Digiorgio