Foto Roberto Monaldo / LaPresse

Lettere

La barzelletta di Gratteri candidato alla procura di Milano

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Ebbene sì, lo confesso: mi sono innamorato di Marta Cartabia. E non mi importa, come ha detto un disperato Marco Travaglio, se non distingue un tribunale da un phon o da un tostapane. Mi importa che sappia distinguere tra stato di diritto e stato manettaro. Mi importa, soprattutto, che abbia reso più civile la giustizia italiana. Post scriptum per il Csm, i Cafiero De Raho, i Davigo e i Gratteri che pronosticano sfracelli: la magistratura ha ormai perso gran parte del suo prestigio presso l’opinione pubblica grazie anche, per usare un eufemismo, ai disinvolti comportamenti dei suoi vertici. Questi ultimi, invece di fare il proprio mestiere e mettere ordine in casa propria per restituire al potere giudiziario un minimo di credibilità, continuano a emettere sentenze sulle scelte del governo e sulle leggi del Parlamento. Forse ancora non si sono accorti che il vento sta cambiando. Infatti, a Via Arenula non c’è più Alfonso Bonafede e a Palazzo Chigi c’è un signore che si chiama Mario Draghi.
Michele Magno


A proposito di Gratteri. Ma c’è bisogno di dire che per la procura di Milano la sola idea di veder candidato per quel ruolo un magistrato che non si rende conto di cosa significhi firmare prefazioni a libri complottisti, che dimentica che la nostra Costituzione (art. 111), nonché la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, certifica che un processo è giusto solo quando ha una durata ragionevole e che si è fatto portavoce negli ultimi anni di ciò che resta del circo Barnum della giustizia rifiutandosi di combattere le storture del processo mediatico è un’idea che meriterebbe di essere presa più con lo spirito di chi ascolta una barzelletta che con lo spirito di chi ascolta una candidatura? Caro Csm, c’è di meglio per Milano, grazie.

 

Al direttore - Sembra che Mario Draghi abbia persuaso i sindacati ad aggiornare i protocolli sulla sicurezza tenendo conto del green pass. Resta incomprensibile come i sindacati siano più attenti alle paturnie di chi non vuole vaccinarsi piuttosto che alle preoccupazioni di chi teme di essere contagiato da un collega non vaccinato.
Giuliano Cazzola

 

Al direttore - Una reale “ripartenza” non può prescindere dal fare chiarezza e soppesare le criticità che stiamo vivendo, così come le opportunità che abbiamo di fronte. Tanto più dopo un anno e mezzo trascorso nelle sabbie mobili di questa pandemia che sarebbe più opportuno chiamare, nelle parole dell’antropologo Merrill Singer, “sindemia” ovvero un insieme di problemi di natura sanitaria, sociale ed economica “con pesanti ripercussioni in particolare sulle fasce svantaggiate di popolazione”. Di fronte a questo squilibrio negli effetti diventa fondamentale ripensare il nostro modello di sviluppo in modo più solidale puntando, in linea con quanto previsto dal Pnrr, alla promozione di valori in grado di supportare un benessere sociale diffuso, dalla parità di genere all’invecchiamento attivo, dalla formazione alla ripresa demografica. Strumenti di welfare “attivo” che, alimentando lo sviluppo individuale, professionale, economico dei lavoratori, possono rappresentare, fuori da logiche puramente assistenziali, una chiave strategica per investire sul futuro. Sulla scia di quello che gli enti di previdenza privati stanno da tempo portando avanti, dobbiamo quindi ridisegnare un welfare collettivo che supporti tramite strumenti appropriati le capacità delle diverse categorie di lavoratori, con più attenzione agli autonomi e ai liberi professionisti, spesso lasciati ai margini di questi processi, ma che, grazie alle loro competenze, possono contribuire in maniera concreta al rilancio del paese.

Stefano Distilli
presidente Cassa dottori commercialisti

 

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