Lettere
Il metodo Schwarzenegger sui No vax. Il prezzo del ritiro da Kabul
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Per venerdì 13 agosto in un’azienda del torinese è previsto il primo sciopero contro il green pass nelle mense aziendali. Una scelta intelligente quella dei sindacati. Se lo sciopero ha successo vuol dire che la minoranza dei non vaccinati conta di più della maggioranza dei vaccinati, dunque il principio cardine della democrazia si trasforma in: ubi maior minor non cessat. Di contro se lo sciopero fallisse sarebbe la certificazione dell’irrilevanza sindacale. Insomma, girala come ti pare, ma come detto della corazzata Potëmkin: lo sciopero contro il green pass è una cagata pazzesca!
Valerio Gironi
Sul tema, anche se indirettamente, ha ragione l’immenso Arnold Schwarzenegger, repubblicano con muscoli e testa sulle spalle, ex governatore della California che ieri ha mandato a quel paese i No vax con una frase che andrebbe tatuata: “Al diavolo la libertà, le persone non hanno il diritto di uccidere gli altri”. Vale per i vaccini, vale per il green pass.
Al direttore - “Kabul chiama” titola il manifesto (12 agosto). “Kabul è sola”, verrebbe da dire, parafrasando il fatidico titolo dedicato a Praga invasa dai carri sovietici del manifesto, in quegli anni lontani una combattiva rivista. Chissà che il nostro ritiro da Kabul non sia materia di riflessione per quanti in questi anni hanno manifestato chiedendo il ritiro degli Usa dall’Afghanistan. Ma tant’è. Sarà stata una delle illusioni del tardo XX secolo ritenere possibile combattere tiranni e promuovere forme di democrazia in paesi dominati dal terrore. La storia ha una sua logica, anche nei drammi. Potevano gli Usa non reagire all’11 settembre con l’invasione dell’Afghanistan, per acciuffare Osama bin Laden e punire i talebani che gli avevano concesso ospitalità e la struttura logistica per preparare l’attacco alle Torri gemelle? Era possibile affrontare la sfida del terrorismo jihadista con una diversa strategia? Fu un errore strategico invadere l’Iraq due anni dopo distogliendo forze e risorse dal fronte afghano e aprendo all’Iran la possibilità di una espansione nell’Iraq sciita? Come fu possibile sottovalutare la doppiezza dei servizi pachistani che sostenevano i talebani? Ne discuteranno gli storici. Oggi, con il ritiro delle truppe americane, in appena tre mesi i talebani hanno conquistato più della metà del paese. Forse, tuttavia, c’è ancora una possibilità da esplorare. Un’iniziativa di Usa, Cina, Russia e degli altri paesi del Consiglio di sicurezza dell’Onu con il consenso dell’Iran: nominare un rappresentante speciale come mediatore tra le parti. Sarebbe una flebile possibilità di evitare la catastrofe. Il nostro governo può dire una parola mentre tornano da Herat i soldati italiani? Occorre poi estendere i criteri per accogliere negli Usa e nei paesi Nato il personale afghano che in questi anni ha collaborato con gli Usa e con la Nato. Il minimo che si possa fare per non passare alla storia come coloro che abbandonano il paese che 20 anni prima avevano invaso per democratizzarlo, lasciando chi ha creduto in loro alla mercé degli “studenti coranici”.
Umberto Ranieri
A proposito di missioni militari. Ci sono due storie che ci dicono in modo plastico quanto la retorica pacifista possa essere pericolosa per la pace nel mondo. La prima storia è quella della Siria, dove il disimpegno militare dell’occidente ha prodotto la destabilizzazione che sappiamo. La seconda storia è quella dell’Afghanistan, dove il disimpegno militare sta producendo la destabilizzazione che stiamo vedendo. Essere interventisti non significa essere guerrafondai: significa essere interessati a esportare un po’ di libertà dove la libertà manca.