Lettere
Riempire i vuoti lasciati dall'America, per difendere la libertà
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - La procura di Palermo ha già aperto un fascicolo sulla trattativa tra stato e talebani?
Giuliano Cazzola
Al direttore - Caro Cerasa, condivido il suo articolo sulla sharia che spinge gli afghani a scappare e credo anche io, come lei scrive, che chi si indigna contro l’orrore talebano non dovrebbe avere più problemi a indignarsi contro i nemici di Israele. Il ragionamento non fa una piega, ma lei è sicuro che sarà questa la piega che prenderà il dibattito pubblico?
Luca Marroni
Temo di no. Eppure dovrebbe essere chiaro quello che sta succedendo. E dovrebbe essere chiaro quanto il ritorno al potere dei talebani, come ha scritto giustamente l’Economist nel numero in edicola questa settimana, è purtroppo un passaggio clamoroso per l’evoluzione del jihad (per la prima volta dalla sconfitta dell’Unione sovietica in Afghanistan nel 1989, ricorda l’Economist, gli islamisti hanno sottratto un paese a una superpotenza) ed è forse il momento più importante per l’islamismo radicale dai tempi dell’instaurazione del Califfato nel 2014 nell’Iraq occidentale e nella Siria orientale. All’epoca, purtroppo, quell’affermazione ispirò attacchi terroristici in giro per il mondo, dall’Indonesia all’Europa, e oggi l’intelligence è comprensibilmente spaventata dalla possibilità che possa accadere lo stesso e che l’Europa possa correre di nuovo gli stessi pericoli che corre ogni giorno Israele, assediata lungo i suoi confini dai campioni del nuovo e vecchio jihad. Di fronte a questo dramma politico, geopolitico, culturale, diplomatico e militare, i paesi interessati alla difesa della libertà hanno due scelte: osservare con impotenza i vuoti creati dall’America nel vicino e nell’estremo oriente o trovare un modo per riempire quel vuoto. Nella consapevolezza che sfortunatamente scegliere di non fare nulla significa già aver scelto cosa fare.
Al direttore - Vorrei ringraziare Daniele Raineri per i suoi reportage da Kabul. Quello di ieri sulla carneficina all’aeroporto della capitale afghana, in particolare, era impeccabile. Grande è la confusione sotto il cielo, quindi la situazione è eccellente, diceva Mao Zedong. Stiamo entrando nel secolo cinese?
Michele Magno
Al direttore - In questi giorni è approdata sulle pagine del Foglio l’annosa disputa di campanile tra le città di Matera e Potenza, nobilitata nell’antitesi tra una Potenza “industrialista” alla Sinisgalli, e una Matera vittima passiva del turismo, definito (cito) “nichilismo… profanazione e prostituzione”. Se il turismo di massa può corrompere la qualità dei luoghi più sensibili, è anche vero che il turismo gestito bene è una preziosa risorsa per lo sviluppo. L’interruzione dovuta al Covid può essere l’occasione per studiare nuovi modelli dell’economia di viaggio. E’ quello che stiamo facendo in Basilicata, lavorando a un turismo diffuso che, attraverso i nostri territori e le nostre comunità, sia contatto profondo tra persone e luoghi, occasione di crescita e di scambio non solamente economico, ma umano, di conoscenza e di valori. E’ un territorio, il nostro, con uno straordinario patrimonio ambientale, culturale e umano, ricco di esperienze da scoprire e fertile di progetti che coniugano la tradizione dell’accoglienza con la qualità dell’innovazione. Per Matera, divenuta in questi anni un brand internazionale, la sfida è riuscire a mantenere viva la coerenza tra i valori espressi dalla città fino a oggi, e quelli vissuti nell’esperienza di viaggio. In altri termini, si tratta di saper governare il mutabile rapporto tra il prodotto, la sua rappresentazione e la sua esperienza. E’ una sfida nota da tempo ad alcune delle più importanti mete internazionali, rispetto alle quali, però, Matera ha dei vantaggi: è una proposta giovane e autentica, in grado di generare emozioni sempre nuove e di ispirare progetti ambiziosi e innovativi, come ad esempio la proposta di Zes culturale. È inserita in una regione ricca di qualità, di energie vitali e di risorse: sarà anche dal rapporto tra Matera e il resto della Basilicata che potrà emergere un nuovo modo di fare turismo. Questa presenza sulle pagine nazionali per discuterne attraverso il topos della diatriba tra città, ci racconta una Basilicata nuova, meno provincia – e meno provinciale – che mai.
Ing. Antonio Nicoletti, direttore generale dell’Agenzia di promozione territoriale della Basilicata