Foto Roberto Monaldo / LaPresse

Lettere

Il piano perfetto di Ita per Lufthansa. L'importante è aggregare

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Non si azzardi, Enrico Letta, a insidiare il nostro primato: non è lui che ha vinto, siamo noi che abbiamo perso. Orgogliosamente!
Andrea Cangini
senatore di Forza Italia

Al direttore - Se ulteriori analisi confermassero l’interpretazione-previsione del Foglio a proposito del futuro di Ita – una compagnia che si riterrebbe non sia in grado di conseguire profitti, ma che si vorrebbe non perdesse molto, dopo il ridimensionamento, in attesa di un eventuale compratore – allora ci si potrebbe chiedere perché una decisione drastica su di un’aggregazione non sia stata assunta già ora. Non vi sarebbe l’acquirente? Oppure le condizioni che questi, ammesso che esista, pone non sarebbero accettabili? Esiste un problema di consenso sociale? Ma, allora, si ritiene che questi ostacoli saranno superabili se si tratterà di una società che ha iniziato a operare, anche se in perdita? O l’ennesimo insuccesso di una compagnia “pubblica” – e speriamo proprio che non si verifichi, se non altro per chi vi lavora – servirebbe a facilitare una cessione, magari accompagnandola anche con una “dote” dello stato? Gira e rigira, permane un’indeterminatezza sui caratteri, le opportunità e i limiti dell’intervento pubblico in economia, un’indeterminatezza che finora il governo non ha ritenuto di superare. È probabile, però, che, anche per la prossima occasione della presentazione della proposta di riforma della normativa sulla concorrenza, sia costretto a farlo.
Angelo De Mattia

Onestamente, per una volta mi sembra che la ex Alitalia sia sulla strada giusta. Ita ha costruito un piano industriale perfetto per Lufthansa, Lufthansa già tre anni fa aveva sondato il terreno attorno ad Alitalia ma si era rifiutata di prendere in considerazione la nostra compagnia di bandiera per questioni fin troppo ovvie: volontà zero di occuparsi dei costi di ristrutturazione e del taglio del personale. Due anni fa, il governo cercò di appioppare Alitalia alle Ferrovie dello stato, oggi il governo sta provando a offrire a un management valido, quello di Ita, un’occasione per fare con la vecchia Alitalia quello che nel 2005 fece Swissair: aggregare, aggregare, aggregare. E’ l’unica strada.

Al direttore - Del tutto condivisibile la riflessione sulle ragioni della sconfitta del centrodestra (a dir la verità Salvini e la Meloni non Berlusconi), che lei fa nell’articolo “la salvifica batosta del centrodestra”. Però, a mio avviso, c’è una questione che prevale su tutto. Con 130 mila morti e con il ruolo salvavita e anche liberatorio per l’attività economica e addirittura per la libertà personale svolto dal vaccino e dalla sua traduzione pratica cioè il green pass, sia Salvini sia la Meloni hanno invece civettato con No vax di vario tipo e si sono contrapposti frontalmente al green pass. Indimenticabili poi le esibizioni di Borghi e di Bagnai in Parlamento. Ora il vaccino e il green pass non sono né di destra, né di centro, né di sinistra. E invece Salvini e la Meloni hanno fatto il capolavoro di consegnarli a Letta e al Pd. Allora gli elettori di centrodestra in gran parte hanno rifiutato questa mossa inconsulta e hanno mandato i due a quel paese. E non sono andati a votare perché si tratta di gente che vuole lavorare e anche andare al ristorante e in vacanza senza troppe preoccupazioni. Per di più a Roma, a Milano e a Napoli sono stati presentati candidati inattendibili e masochisti che hanno lavorato proficuamente per l’avversario di centrosinistra. Inoltre, siccome, nella sua ingordigia, Salvini non si fa mai mancare nulla, adesso propone all’Italia il modello Gran Bretagna: quel genio di Johnson finora è andato avanti a zig zag, fra lockdown e aperture totali. Attualmente ha liberalizzato tutto e si ritrova con 40 mila contagiati al giorno.  Allora Salvini e la Meloni in primo luogo devono rovesciare questa linea suicida. Poi devono affrontare tutte le questioni da lei proposte. Almeno Salvini dovrebbe chiedere a Berlusconi il numero di telefono di Weber, del Partito popolare europeo invece di firmare documenti con i 16 partiti sovranisti che giocano contro l’Italia sia per ciò che riguarda le quote di immigrati sia per quello che riguarda la distribuzione delle risorse economiche europee.
Fabrizio Cicchitto

Al direttore - Motivazioni per “semplificare” e ridurre il carico fiscale possiamo individuarne una infinità. Ricordo solo che l’Irap sostituì i prelievi contributivi sul costo del lavoro e che essa è l’unica imposta regionale. Limito la mia osservazione al fatto che non esista altrove. Siamo sicuri? E qualcuno ha sentito parlare della così detta tassa professionale ad esempio in Francia? Cordiali saluti.
Carmine Meoli

Al direttore - La crisi economica che sta sconvolgendo la Cina costituisce un evento che non è affatto trascurabile, essendo al contrario un punto di svolta determinante. Finalmente è emersa quella verità che le autorità politiche cinesi hanno cercato di nascondere per anni, ossia che l’impetuosa crescita cinese era stata gonfiata artificialmente, e interi settori, come quello immobiliare, sono finanziariamente insostenibili. Il mito dello stato capace di salvare le aziende dal fallimento si sta sgretolando dinanzi alla crudele realtà dei fatti, ossia l’impossibilità di sostenere un’economia improduttiva sostenuta soltanto dal debito. Inoltre si è infranto un altro miraggio, quello dell’eterna promessa della liberalizzazione del mercato cinese che continua invece a essere regolato da leggi comuniste che impediscono il libero accesso agli investitori stranieri. La dirigenza cinese sta affrontando la situazione con una ottusità inaudita, continuando a promuovere il centralismo statale e il controllo asfissiante dell’autorità politica, e peggiora la situazione alimentando una propaganda xenofoba contro gli stranieri rappresentati come nemici da combattere. Questo è il vero volto della Cina che stiamo scoprendo, e che nessuno ormai può nascondere.
Cristiano Martorella

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