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I disastri della cancel culture: Bari Weiss sabato sul Foglio
Le lettere al direttore del 21 ottobre 2021
Al direttore - Nel suo speciale, il Foglio riferisce dei nuovi magneti superconduttori realizzati da Eni per ottenere il contenimento del plasma nei reattori nucleari a fusione che, a differenza di quelli a fissione attualmente in uso, non producono scorie radioattive. Per raggiungere questo obiettivo è in costruzione a Cadarache, nel sud della Francia, un reattore sperimentale da parte del consorzio Iter, costituito nel 2007 con la partecipazione di Unione europea, Russia, Cina, Giappone, Usa, Corea del sud. Il 60 per cento circa dei contratti industriali è stato aggiudicato ad aziende italiane. All’origine la data di completamento era prevista per il 2019 e il costo era di 10 miliardi€, diventati 15 nel 2009. Nel 2016 la data veniva spostata prima al 2025, poi al 2035. Queste informazioni sarebbero utili per rendersi conto dell’entità dei problemi, e quindi anche per valorizzare l’importanza dell’innovazione annunciata da Eni.
Franco Debenedetti
Al direttore - Credo sia cosa buona e giusta pubblicare un bollettino quotidiano sui disastri della cancel culture, un po’ come si fa con il bollettino del Covid. Una roba del tipo: rimosse due statue di Cristoforo Colombo in Minnesota, bruciati a Milwaukee cinque libri di Shakespeare, ricoperta la statua di Churchill a Liverpool, licenziati 14 professori perché i loro bisnonni hanno combattuto i nativi americani, lapidate tre donne a Kabul, impiccato un dissidente a Teheran, fucilato un poeta a Pechino. Insomma una cosa semplice semplice, ma che serva a dare un quadro completo di dove andiamo a sbattere.
Valerio Gironi
Sabato sul Foglio avremo un bollettino niente male scritto personalmente da Bari Weiss, la giornalista americana che nel luglio del 2020 si è dimessa dal New York Times con una lettera in cui diceva: “Twitter non è nella gerenza del New York Times ma Twitter è il suo direttore supremo”. Che cosa c’entra con la cancel culture? Leggete e scoprirete.
Al direttore - Secondo lei, caro Cerasa, quanto tempo deve ancora passare prima che la procura di Palermo avvii un’inchiesta sulla trattativa tra stato e No vax?
Giuliano Cazzola
Spiritoso. Per una volta bisogna invece dire che la magistratura, sui vaccini, ha dato il meglio di sé e al Tar e al Consiglio di stato non c’è stato un solo magistrato che abbia accolto le istanze di protesta dei No vax esclusi dal lavoro per ragioni legate all’obbligo vaccinale. Gli Angelo Giorgianni, per fortuna, sono una piccola minoranza.
Al direttore - L’argomento più plausibile dei No green pass, quello che più si avvicina al rango di ragione, è che non si può subordinare un diritto fondamentale come il diritto al lavoro al possesso di un certificato che attesti un vaccino o un tampone. Argomento ineccepibile in tempi normali ma che perde ogni sua suggestione (il diritto al lavoro non si tocca!) in tempi di emergenza. Ma a ben pensarci la strumentalità nascosta sotto… viene a galla con un piccolo esercizio di memoria. Da anni il godimento di un diritto fondamentale tanto quanto quello al lavoro, il diritto all’istruzione (che lo stato addirittura vincola all’obbligo), è sottoposto all’esibizione del certificato che attesta l’inoculazione di una decina di vaccini, e non si conoscono iniziative di genitori no vax che negano il diritto all’istruzione alla maggioranza dei bambini che si sono vaccinati bloccando l’ingresso delle scuole come minacciato per alcuni porti italiani (vedremo l’entità dell’adesione). Ma prima ancora, in assenza di qualsivoglia pandemia, tutti abbiamo accettato il giogo del certificato medico di guarigione dopo cinque giorni di malattia. Il motivo? Da piccoli abbiamo sempre pensato che fosse un lasciapassare a nostro vantaggio, era ed è invece una salvaguardia a favore dei nostri compagni di classe, che potevano avvicinarsi a noi sicuri che non eravamo più contagiosi. Sicuri che questa attenzione solidale ai compagni di lavoro sia un’imposizione da regime totalitario, da dittatura (Savona dixit)?
P.S. Domani mi prenoto per la terza dose.
Ubaldo Casotto
Al direttore - Era impossibile non voler bene a Luigino, a Luigi Amicone. E i tanti ricordi, sul Foglio e altrove, anche di presunti “avversari” (ma perché, poi?), lo hanno dimostrato. C’è un motivo preciso per cui era così facile, naturale, voler bene a Luigi Amicone. Un motivo talmente evidente, eppure bisogno di essere come tirato fuori, messo davanti agli occhi. Luigi colpiva così tanto, risultava umanamente “in simpatia” non solo per la sua esuberanza generosa, per la sua disponibilità o la sua carica ideale. Cose che pure c’erano, in misura non comune. Era un’altra cosa: era che lui era voluto bene, e di questo consisteva. Voluto bene, da suo Padre e dai suoi molti padri – carnali e umani, per carità! I padri spirituali sono sciagure – che lo hanno generato. Saperlo ed essere felice, sicuro della strada, che non inganna mai, per lui era una cosa sola. Era felice per una predilezione, per questo voleva a sua volta bene a tutti, e tutti se ne accorgevano, e veniva da dire (a me veniva da dire, ma non credo solo a me): ma che bello essere voluti e voler bene così. L’impegno, le culture war quando ancora non esistevano, i giornali. Tutto è servito, nel mondo post cristiano che ha abitato (lui diceva: da sradicato). Ma la testimonianza di Luigi davanti a tutto il mondo è stata soprattutto e semplicemente questa: la predilezione di Gesù, fattosi compagno di strada.
Maurizio Crippa