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Lettere

Gli abbandoni scolastici e la lode che meritano comunque i prof.

Chi ha scritto al diretto Claudio Cerasa

Al direttore - Ho letto lo scritto di Marco Lodoli sul tuo giornale e mi sono commosso. La storia di Veronica, la ragazza “randagia” con un bagaglio di esperienze difficile e tragico sulle spalle che ha abbandonato la scuola alla quale con mille difficoltà i servizi sociali erano riusciti a farla iscrivere. È un racconto intenso, duro, scritto con la maestria di chi sa raccontare e la passione di chi crede in ciò che fa ogni giorno, insegnare. C’è un punto però che secondo me non possiamo dimenticare e ti chiedo ospitalità per richiamarlo ai tuoi lettori. Secondo i dati del ministero dell’Istruzione ogni anno (ogni anno!) la scuola perde tra i 100 e i 120 mila studenti (15-20 mila di questi li perdiamo alle medie!), ma queste ragazze e questi ragazzi non sono tutte e tutti come Veronica, non sono tutte e tutti “randagi”: certamente appartengono per lo più ai settori più deboli della società, ma non sono sempre con famiglie e storie al margine, come quella di Veronica. E taccio della dispersione implicita e dell’analfabetismo funzionale, fenomeni troppo poco indagati, che riverberano i loro effetti nefasti sugli adulti di oggi e di domani. Ben vengano racconti come quello di Lodoli, ma attenzione a non illudersi che sia così “facile” riconoscere uno studente a rischio abbandono. Centoventimila studenti equivalgono alla popolazione di una città come Bergamo, Latina, Siracusa… Ogni anno Bergamo, Latina o Siracusa spariscono dalla cartina dell’Italia nell’indifferenza generale: tutti “randagi”? Purtroppo no.
Marco Campione

 

Grazie. Abbiamo scelto di affidare a Marco Lodoli una rubrica settimanale sulla scuola anche per segnalare storie come queste, anche per provare a raccontare lo sforzo quotidiano che fanno gli insegnanti anche su questo fronte, anche per cercare di ricordare con i piccoli gesti che i docenti della scuola italiana sono  molto migliori rispetto a come vengono rappresentati dai loro sindacati.


 

Al direttore - Con particolare piacere ho letto l’articolo “Oggi il centro del mondo è la farmacia”, sapientemente redatto dalla brillante penna di Giuliano Ferrara. Fa senza dubbio onore a una intera categoria, quella dei farmacisti, che specialmente durante il durissimo periodo del lockdown ha lavorato incessantemente per offrire servizi e umano conforto ai cittadini, leggere come minuziosamente ogni particolare sia stato inserito in un mosaico descrittivo che, sono sincero, fotografa alla perfezione lo stato delle cose. Perché oggi la farmacia in effetti, come lascia intendere Ferrara, non è più soltanto il luogo di dispensazione dei farmaci o delle preparazioni galeniche, ma anzi è un presidio sanitario territoriale dove il cittadino può trovare puntualmente risposte concrete (non a caso si è giunti alla possibilità di effettuare al loro interno anche tamponi e vaccinazioni anti Covid) ai quesiti che riguardano la propria salute. Una “farmacia dei servizi”, sempre attenta e rivolta al futuro senza dimenticare la tradizione dalla quale proviene. Farà sicuramente piacere a Giuliano Ferrara sapere che in Umbria abbiamo dato vita anche al progetto Farmacash, del quale nei giorni scorsi si sono interessati altri media come Repubblica e il Giornale, che consentirà a pieno regime di avere servizi Atm di prelievo, pagamento e tanto altro direttamente all’interno delle farmacie. Un ulteriore servizio rilevante per il cittadino considerato come soprattutto nei piccoli centri rurali, la chiusura degli sportelli bancomat abbia causato non poche problematiche alla popolazione. Cercando di interpretare questa necessità, abbiamo quindi provato a unire l’aspetto legato alla salute a quello della finanza, consapevoli che di questi tempi la farmacia debba abbracciare le esigenze dell’utente a 360 gradi. Un caro saluto.
Augusto Luciani, farmacista, Federfarma Umbria

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