Tutti vogliono Draghi al Colle, anzi quasi tutti. E allora il Pd?
Le lettere al direttore del 6 novembre 2021
Al direttore - L’autodafé di Giorgetti al Consiglio federale della Lega: “Ab equinis pedibus procul recede” (quello che cadde da cavallo disse che voleva scendere).
Michele Magno
Al direttore - Non c’è partito politico che non sia platealmente dilaniato tra la necessità di essere qualcosa e l’esigenza di apparire qualcos’altro, non c’è gruppo parlamentare che non venga descritto come diviso e conflittuale, non c’è peone che possa dirsi sicuro della rielezione e non c’è eletto che possa non considerarsi peone. Al gran film del Quirinale mancano ancora un regista e un copione, ma la cosa più difficile sarà convincere gli attori non protagonisti a recitare la parte che gli spetta.
Andrea Cangini
senatore di Forza Italia
Manca un regista, è vero. Manca un copione, chiaro. Manca un’iniziativa, giusto. Ma ciò che manca davvero, fra tutto, è la presenza di un partito, l’unico che sembra non avere interesse, al momento, a mandare Draghi al Quirinale. La Lega ci starebbe, Forza Italia pure, la Meloni perché no, Di Maio ci lavora, ma come si sarebbe detto un tempo: ok, ma allora il Pd?
Al direttore - Non credo che sia sbagliato introdurre, come ha fatto il governo, un incentivo fiscale alle aggregazioni societarie, e bancarie in particolare, agendo su di una modifica non certo fuori luogo, quale la trasformazione delle Dta, le imposte differite attive, entro determinati limiti, in crediti d’imposta. Rivolta a tutti i soggetti che ne possono avere titolo, è in regola anche con le norme sulla concorrenza e il libero mercato. Piuttosto, appare discutibile il netto ridimensionamento dello stanziamento all’uopo previsto dopo il fallimento del negoziato Unicredit-Montepaschi. Comunque, lascia intendere il non breve termine entro il quale la vicenda del Monte – definito banca media dal ministro Franco, qualifica che nella conferenza stampa era stata dallo stesso ministro, per un “lapsus”, formalmente rivolta a Unicredit – possa uscire definitivamente dal pelago alla riva. Eppure i risultati periodici dell’istituto senese cominciano a essere interessanti. Sarebbe un errore “mettere a dormire” il progetto di sistemazione o nuovamente escludere alternative possibili come è avvenuto nella recente audizione del direttore generale del Tesoro. In ogni caso, posto che le aggregazioni debbono avvenire secondo una prevalente logica di mercato e servono se migliorano la ragion d’essere di una banca, in una situazione nella quale gli organi della Vigilanza unica della Bce rinunciano anche a un’azione di “moral suasion” perché ritenuta una forma di dirigismo o di supergestione, una incentivazione pubblica che orienti alla riorganizzazione e al consolidamento del settore, ferma restando l’autonomia decisionale degli intermediari, appare senz’altro opportuna. Si potrebbe rileggere, da chi ne avesse voglia, come avvenne la grande riorganizzazione bancaria degli anni Novanta e il ruolo che vi ebbero la Banca d’Italia, il governo, l’Abi, i sindacati.
Angelo De Mattia