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Lettere

 Draghi al Quirinale val bene una settimana di instabilità al governo

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - A quelli che protestano contro il green pass bisognerebbe spiegare che chiedono il QR, e non il QI. 
Michele Magno

QR meno QI uguale Qanon.

 


Al direttore - Il Corrierone, con sprezzo del pericolo, titola che con Draghi al Quirinale sul tavolo c’è anche l’ipotesi di Di Maio, Franceschini o Giorgetti a Palazzo Chigi:  varianti per le quali non c’è vaccino che tenga.
Valerio Gironi 

Con un vaccino come Draghi al Quirinale, non c’è variante politica che possa far davvero paura. 


 

Al direttore - Il Foglio rileva  un certo  affaticamento del governo. Molto dell’affaticamento  è dovuto alle azioni   dirette o ai riflessi della corsa per il Quirinale. Eppure militerebbero  per un dovere di concentrarsi, in maniera coesa, sui gravi problemi incombenti: il contrasto della recrudescenza della pandemia e le necessarie iniziative a fronte dell’aumento delle tariffe dei beni energetici nonché dei rischi di un’inflazione che sia un po’ meno  transitoria di quanto finora si è creduto e delle eventuali connesse misure monetarie che potrebbero non essere di certo espansive. Andrebbe anche valutata con urgenza , in tema di liquidità; la proroga delle moratorie e dell’assegnazione di  garanzie  pubbliche sui prestiti, venendo meno  le quali fra non molto si acuirebbero  i problemi di famiglie e imprese. L’Abi ha sollevato questo problema che, però, non è di parte, ma tocca gli interessi generali. Potrebbe rendersi necessario un nuovo scostamento di bilancio. Capisco che è difficile, quasi impossibile  fare astrazione dalle imminenti  elezioni presidenziali. Ma per chi è investito di compiti di governo dovrebbe valere  l’“age quod  agis”, continuare a fare ciò che si  deve; anzi farlo in maniera  esemplare. Non si deve ricavare anche  da ciò se veramente sia, questo, il governo dei Migliori? O la corsa al Colle giustifica le divisioni e li ritardi in altri versanti? 
Angelo De Mattia

Se il prezzo da pagare per avere sette anni di stabilità riformistica è quello di avere qualche settimana di instabilità di governo nessun dubbio: machiavellicamente, mai come in questo caso il fine giustifica il mezzo e il mezzo giustifica il fine.


 

Al Direttore - Le è capitato di vedere “Don’t Look Up?”. Non entro nel merito della pellicola, su cui tanto si può dire nel bene o nel male, ma mi soffermo su un particolare che mi ha colpito: oltre agli Stati Uniti, le potenze che tentano di distruggere la cometa diretta sulla Terra sono Russia, Cina e India. L’Europa non c’è. Nel film, né l’Unione europea né i singoli governi britannico, francese, tedesco o italiano si mobilitano per una missione spaziale. Tante volte gli americani esagerano nel credersi gli unici possibili salvatori del pianeta (in tanti film sono anche gli unici degni di ricevere sul proprio territorio alieni e zombi), ma in “Don’t Look Up” l’assenza dell’Europa sembra più realistica che altrove. Non siamo un attore reale dello scacchiere internazionale, figuriamoci se possiamo pretendere di essere attore cinematografico. In Africa lasciamo che sia la Cina a fare politica, in Kazakistan stiamo a guardare e facciamo appelli terzisti, nella grande partita globale delle materie prime giochiamo sempre e solo di rimessa. Prima o poi – a parte gli eccessi del film – partirà davvero la corsa ad accaparrarsi materie prime sui corpi celesti e saremo ultimi anche lì, se non cambiamo radicalmente prospettiva. Noi europei abbiamo risorse, tecnologia e capitale umano tali da poter essere protagonisti, senza essere relegati (come in “Don’t Look Up”) nel ruolo di comparsa assegnato alla signora francese che interpreta la rappresentante delle Nazioni Unite.
Piercamillo Falasca

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