Lotta agli estremismi. I sette anni di Mattarella in tre parole

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa 

Al direttore - Salvini: ma tipo mettere due vicepresidenti della Repubblica?
Giuseppe De Filippi


 


Al direttore - Al di là del tweet personale di Paolo Savona, del quale egli ha poi dato l’esatta ridimensionata interpretazione, mi sembra non condivisibile la metafora dell’arbitro che butta la palla in tribuna e ammette di non sapere arbitrare. Intanto, la storia della Consob è ricca di casi di “impasse” nel decidere, non è la prima volta: certo, non è una ragione valida per proseguire su questa strada. Ma non si può trascurare l’assoluta novità del caso all’esame dell’Authority riguardante una iniziativa che la Consob non potrebbe considerare inammissibile come alcuni vorrebbero, perché questa è materia propria di una “fonte normativa” superiore, la legge. Vi è, poi, anche una fetta di competenza in materia dell’Ivass, di cui però nessuno parla, così come di entrambe le authority è la competenza sulle contestazioni mosse, innanzitutto a chi rappresenta il Leone di Trieste, da parte dello stesso Caltagirone nel rassegnare le dimissioni da vicepresidente. Che in un organo collegiale di vertice sussista una dialettica è fisiologico. Se, poi, la dialettica rischia di essere paralizzante, si travalica nella patologia e, allora, non si può attribuire, come fa un suggestivo editorialino del Foglio, la colpa all’arbitro, che per di più, nella Consob, è per legge solo un “primus inter pares”, come se i commissari fossero mere pedine da muovere o come se si trattasse di un organo politico nel quale arrivare fino alle estreme mediazioni, al di là dei vincoli giuridici e di ciò che insegnano le discipline economiche e finanziarie. Vi sono gli aiutanti dell’arbitro e il “Var” che vanno considerati. In ogni caso, è fondamentale che si affermi nell’organo in questione una necessaria coesione e che, comunque, alla fin fine non sia considerato un fatto negativo se si debba votare su questo o quell’argomento e il risultato del voto non sia unanime. Ciò che bisogna, invece, prevenire è la cristallizzazione delle posizioni che può indurre a parlare, e non a sproposito, di conservazione e innovazione. Con i migliori saluti.
Angelo De Mattia



Al direttore - Negli ultimi sette anni, il presidente Sergio Mattarella ci ha insegnato molte cose. Ci ha ricordato, per esempio, che il lavoro non è soltanto un mezzo per vivere, ma anche un valore in sé, perché contribuisce a realizzare la nostra umanità, ci fa sentire utili alla società e agli altri, contribuendo così a dar significato alla nostra esistenza. Ha fortemente ricordato a tutta la società civile che l’impegno dell’occupazione di tutte le forze disponibili è un dovere centrale dell’azione degli uomini di governo, politici, dirigenti sindacali e imprenditori e le autorità responsabili sono preposte perché mettano mano ai provvedimenti necessari a garantire ai lavoratori la giusta retribuzione e la stabilità: un invito forte a un impegno costante per tutti gli operatori del mercato del lavoro, in modo tale che fondare la nostra Repubblica sul lavoro, non rimanga solo un principio scritto nel primo articolo della nostra Carta costituzionale. Quando i grandi elettori voteranno pensino a un profilo del genere.
Andrea Zirilli

Ci sarà modo per ricordare, nei prossimi tempi, i discorsi più belli fatti da Sergio Mattarella in questi anni. Ma fra i tanti  passaggi che meriterebbero di essere custoditi con cura dal suo successore ce n’è uno poco ricordato. E’ un passaggio del suo primo discorso in Parlamento. “Il nostro Paese ha pagato, più volte, in un passato non troppo lontano, il prezzo dell’odio e dell’intolleranza. Voglio ricordare un solo nome: Stefano Taché, rimasto ucciso nel vile attacco terroristico alla Sinagoga di Roma nell’ottobre del 1982. Aveva solo due anni. Era un nostro bambino, un bambino italiano”. I sette anni di Mattarella si possono fotografare anche così. La lotta contro gli estremismi. La lotta contro i seminatori di odio. La lotta contro i vecchi e nuovi nemici degli  Stefano Taché. La memoria parte anche da qui.
 

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