Lettere
Chi avrà l'onore di appuntarsi il draghicidio sul proprio CV politico?
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Intesa fatta su Draghi: rubrica sul Foglio.
Giuseppe De Filippi
Al direttore - Ebbene sì: ciò che sembrava impossibile potere accadere in questo Parlamento ingovernabile e balcanizzato in partiti, partitini e “gruppi misti” sembra essere sul punto di realizzarsi. Stiamo infatti assistendo alla richiesta di una vasta parte della politica per una uscita di scena di niente popò dì meno che di un personaggio come quello di Mario Draghi. Insomma: siamo di fronte al tafazzismo allo stato puro della nostra bella classe politica. Gesù, Gesù!
Vincenzo Covelli
Dubito che accadrà, e le possibilità che Draghi faccia un passo da Palazzo Chigi al Quirinale sono ancora alte. Ma se questo non accadrà sarà interessante valutare un altro scenario: chi avrà l’onore di appuntarsi il draghicidio sul proprio prestigioso curriculum politico.
Al direttore - Voglio esprimerle il mio apprezzamento per l’articolo di Luciano Capone (Sciacalli scuola-lavoro) per la strumentalizzazione dell’infortunio in cui ha trovato la morte il giovane Lorenzo Parelli. Gli infortuni sul lavoro non sono mai una fatalità; dipendono quasi sempre da una negligenza nel sistema di prevenzione e sicurezza. Anche in questo caso vanno accertate e sanzionate le responsabilità in base a quanto prevede la legge. E’ però un atto di sciacallaggio – come scrive Capone – avvalersi di questa tragedia per chiedere l’abolizione dell’alternanza scuola-lavoro (che peraltro non era applicata in questo rapporto). Questa pratica non svolge una funzione formativa per una determinata professione come il tirocinio o l’apprendistato, ma vuole essere una esperienza che mette a contatto un giovane studente con l’ambiente, l’organizzazione, la comunità e i rapporti con altre persone nello svolgimento di una attività produttiva. E’ veramente da irresponsabili evocare lo sfruttamento e persino lo schiavismo e immaginare la scuola e il lavoro come due mondi separati.
Giuliano Cazzola
Al direttore - Si dice che qualche leader di partito si sia raccomandato con i suoi grandi elettori di votare scheda bianca senza scrivere nomi.
Michele Magno
Al direttore - Il disastro del cinema italiano ormai consolidato è sotto gli occhi di tutti: non si è salvato un film, salvo quello di Sorrentino di cui però sono stati celati, malignamente, i risultati da parte di Netflix. “Diabolik” titolo di punta di Rai Cinema, ha raggiunto, con una pubblicità martellante, a malapena € 2.700.000,00, “La befana vien di notte” non riesce ad arrivare a € 500.000,00, “Freaks out” va poco oltre € 2.500.000,00, “Supereroi” si ferma a € 600.000,00, “7 donne e un mistero” arriva faticosamente a € 1.000.000,00. Purtroppo la produzione, sia cinematografica che televisiva, soggiace a una legge che mette a carico dello stato, e pertanto della comunità, dal 30 al 40 per cento del budget di un film, e a questo contributo si sommano le partecipazioni Rai e quelle delle regioni, al punto tale che il nostro è puro e semplice “cinema di stato”, come in Cina. La parola “ricavi” è cancellata dal vocabolario cinematografico per dar posto a “contributi”, “sostegni” e ovviamente “emozione”. Non dipende dal Covid il disastro italiano, stretto tra un ministero discrezionale e interventista e Rai Cinema che è diventata un potentissimo tycoon, partendo dagli accordi riservati con la Lakeshore, ma dalla mancanza di autori, attori e soprattutto di libertà. Un vero disastro, nel quale sguazzano commissioni delegittimate, strutture destrutturate un mondo del cinema popolato da personaggi che conoscono poco la materia, il tutto senza critica e senza risultati.
Michele Lo Foco