Non si prepara la pace porgendo l'altra guancia a Putin
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Eh, ma Zelensky non vuole trattare... Eh, ma Zelensky dovrebbe arrendersi... Eh, ma gli americani hanno riempito di armi gli ucraini... Eh, ma la gaffe di Biden... Eh, ma le atrocità degli ucraini nel Donbas... Eh, ma il battaglione Azov... Eh, ma Putin si sentiva accerchiato dalla Nato... Eh, l’aggressione c’è stata, ma la questione è più complessa... Eh, lo dice anche il Papa... (Gustave Flaubert, “Dizionario dei luoghi comuni. Catalogo delle idee chic [a sinistra]”.
Michele Magno
Al direttore - Ha ragione, caro Cerasa: ogni università ha i professori che si merita. Non è la prima volta che la Luiss viene messa in imbarazzo da uno dei suoi docenti. Nel 2019 toccò a Marco Gervasoni il quale, ai tempi della caccia alle ong che soccorrevano i migranti in mare, pubblicò un tweet che gli costò l’incarico (“Ha ragione Giorgia Meloni, la nave va affondata. Quindi Sea Watch bum bum, a meno che non si trovi un mezzo meno rumoroso”). Ora, è venuta la volta di Alessandro Orsini, il quale si è portato appresso il nome del prestigioso ateneo mentre esibiva su tutte le tv le sue discutibili teorie sull’aggressione russa dell’Ucraina. Solo che Orsini è stato più fortunato di Gervasoni: è divenuto un simbolo, intoccabile, della libertà d’opinione. E’ un diritto fondamentale dire ciò che si pensa; ma sarebbe il caso di pensare anche a ciò che si dice.
Giuliano Cazzola
Eviterei però, caro Cazzola, di cadere, con la Luiss, nella tentazione di fare di tutta l’erba un fascio. Ho detto fascio?
Al direttore - Il conformismo celato dal paravento dell’anticonformismo dietro molte posizioni sull’Ucraina? Talvolta me lo chiedo e se immagino le conseguenze di alcune enunciazioni mi dico di sì. Senza ammetterlo forse c’è il timore che aveva, a suo tempo, Lord Halifax che non voleva intaccare la tranquillità inglese. Secondo me più che anticonformismo si tratta di paura. Poi bisogna capire quale sia la strada migliore per uscire da questa situazione perché, al fondo, la paura di quel che può capitare l’abbiamo tutti e non credo che molti pensino che si tratta di una parentesi che deve passare in fretta affinché, costi quel che costi, tutto torni come prima.
Gianfranco Carbone
Al direttore - Sono un vostro abbonato e fedele lettore. Sono stato per 17 anni missionario in Repubblica ceca e conosco molto da vicino il trauma che l’invasione dei carri armati sovietici ha provocato a Praga. Sarò molto sintetico. In un’epoca di barbarie in cui viviamo, credo che non sia segno di aiuto alla promozione di valori importanti titolare il giornale spesso e volentieri con parole che non aiutano a fare e a instaurare la pace. La pace va preparata anche con parole di pace. Ultimamente il giornate titola, come oggi ad esempio, con parole che la pace non solo non la preparano, ma sembrano anche non volerla. Credo che i contenuti di dissenso e di giusta condanna si possano portare senza scadere in una retorica che non descrive meglio i fatti: non è chiamando Putin macellaio che i fatti cambiano. Non apriamo meglio gli occhi semplicemente apostrofando le azioni con termini che esprimerebbero il nostro coraggio di chiamare le cose col proprio nome. Non è di questo coraggio che abbiamo bisogno. L’eleganza di una argomentazione è molto più convincente della trivialità di un titolo.
Con stima.
don Andrea Barbero
La sua lettera è molto bella, caro don Andrea, ma la pace, dal nostro punto di vista, la si prepara non offrendo l’altra guancia, non mostrando indulgenza, non nascondendo i fatti, non moderando i giudizi, ma anche provando a chiamare le cose con il loro nome. E onestamente, chiamare Putin macellaio mi sembra offensivo più per i nostri macellai che per un criminale di guerra. Un caro saluto e grazie di cuore.