Quando l'Anpi agitava le sue bandiere vicino a quelle di Forza Nuova
Chi ha scritto al direttore
Al direttore - “L’Italia ripudia la guerra”: così recita lo slogan scelto dall’Anpi per celebrare il 25 aprile 1945 nell’anno di (dis)grazia 2022. Sarebbe stato sufficiente aggiungere “di Putin” per renderlo più credibile e meno tartufesco. Infatti, come afferma l’incipit integrale dell’art. 11 della Costituzione, la ripudia “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Ma l’omissione è del tutto coerente con il pensiero del presidente dell’Associazione dei partigiani, Gianfranco Pagliarulo, il quale non ha mai nascosto le sue simpatie ieri per il totalitarismo sovietico, oggi per quello russo. Del resto, il 25 aprile non è mai stato la festa di tutti gli italiani. Al contrario, per lo più è stato vissuto come un derby tra opposte tifoserie: fascisti contro antifascisti, destra contro sinistra. La verità è che, dopo oltre tre quarti di secolo dall’insurrezione che liberò il nord del paese, non ne abbiamo ancora una memoria condivisa, anche perché non abbiamo ancora fatto i conti col nostro passato. Ci provò Silvio Berlusconi nel 2009 in un discorso tenuto a Onna, quando propose di convertire la Festa della Liberazione in una Festa della Libertà. Un discorso serio e intellettualmente onesto, in cui l’appello a superare una storica divisione non sminuiva le ragioni dei vincitori e i torti dei vinti. Per la prima volta, anzi, il Cavaliere riconosceva senza ambiguità il contributo decisivo della Resistenza alla nascita della democrazia repubblicana. A mio avviso, quel discorso avrebbe meritato una più pacata accoglienza, perché ci invitava a meglio riflettere su una questione cruciale, ovvero se la Libertà (con la maiuscola) possa essere considerata un valore, sia pure il più alto e irrinunciabile. Nessuno ne meni scandalo. Intendo dire che essa, in realtà, è la condizione perché questa o quella libertà (con la minuscola) si dia. In tal senso, può decidersi per il bene come per il male, con sovrana indifferenza. Addirittura può rovesciarsi nell’atto che la nega o l’annulla. Insomma, la libertà – come ben sapeva il Dostoevskij lettore di Pascal – viene prima del bene e del male. Attenzione, però. Perché, come ha scritto il filosofo russo Nikolaj Berdjaev, lo stesso Dostoevskij “più profondamente di ogni altro ha compreso che il male è figlio della libertà. Ma ha compreso pure che senza libertà non c’è il bene. Anche il bene è figlio della libertà. A ciò si ricollega il mistero della vita, il mistero del destino umano. La libertà è irrazionale e perciò può creare sia il bene sia il male. Ma ricusare la libertà per il fatto che può produrre il male, significa produrre un male ancora più grande” (“La concezione di Dostoevskij”). Da ciò si deduce che, per l’autore di “Delitto e castigo”, la libertà rappresenta le fondamenta dell’edificio umano, e che i suoi inquilini sono disposti a patire tutte le sofferenze che il mondo può infliggere pur di sentirsi liberi. Ciò vale in questi giorni per il popolo ucraino, e dispiace che si rifiutino di capirlo quanti, soprattutto a sinistra, forse hanno dimenticato che fu proprio la resistenza di pochi che contribuì alla libertà di tutti.
Michele Magno
Ricordo ancora quando l’Anpi, nel 2016, scese in piazza a Latina, sventolando le proprie bandiere non accanto a quelle della Nato ma a quelle di Forza Nuova, urlando che Renzi era un “ducetto”. Bei tempi quelli in cui l’Anpi veniva utilizzato dai compagni come una leva utile a manganellare politicamente i fascisti immaginari.
Al direttore - Sorvolando sul merito, c’è un aspetto forse ancor più preoccupante che le recenti, stravaganti esternazioni del compagno Pagliarulo hanno fatto emergere. Ed è il fatto che nell’anno domini 2022 ci sia ancora chi si trastulla con la favoletta del comunismo amico fraterno dell’umanità contrapposto, di volta in volta, alle incarnazioni del male assoluto. E questo con buona pace non soltanto degli orrori che il socialismo ha partorito ovunque abbia attecchito (a partire dall’ex Urss, ops), ma quel che è più grave continuando a ignorare, o facendo finta di ignorare, gli orrori perpetrati dai partigiani rossi a casa nostra. O ci siamo persi qualcosa, compagno Pagliarulo? Sia chiaro: nessuno qui vuole negare i meriti dei partigiani rossi nella liberazione dell’Italia. Ma c’è un “ma”. Anzi due. Nel nostro paese c’è stata una guerra civile che si è protratta ben oltre quella militare e che ha visto quegli stessi liberatori nelle vesti di carnefici che si accanirono anche su civili inermi; secondo, è un fatto che quando fu scritta la Costituzione più bella del mondo il sangue dei vinti ancora in parte scorreva. Anche per questo, non solo certe esternazioni e manifesti lasciano il tempo che trovano, ma allargando il discorso i tempi sarebbero più che maturi per sanare quella che a tutti gli effetti è un’anomalia. Mi riferisco ovviamente alla disposizione costituzionale che vieta la ricomposizione del partito fascista. Norma giusta e sacrosanta. Ma che forse andrebbe emendata estendendo il divieto anche alla ricomposizione di un partito o movimento o semplice associazione di stampo comunista. Né vale il discorso di chi dice che il Partito comunista, e in generale il comunismo italiano, siano stati ben diversi da quelli di altri paesi. Non che uno abbia bisogno di avvelenarsi per sapere che il veleno uccide. Basta e avanza guardarsi attorno. E rigettare il male di qualunque colore esso sia.
Luca Del Pozzo
Rispetto al tema degli ammiratori di Putin, però, mi preoccuperei più di un altro tema: l’eccitazione mostrata dall’internazionale neofascista rispetto al tentativo (genocida?) di Putin di “denazificare” l’Ucraina guidata dall’ebreo Zelensky.