Lettere
Medvedev pensa al dopo-Putin? Risposta all'ambasciata russa
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Domani il ministro dello Sviluppo Giancarlo Giorgetti sarà all’Ilva di Taranto, in una visita a sorpresa per evitare contestazioni. L’ultima volta era stato l’allora presidente Conte, la notte della vigilia di Natale 2019, a sedersi a cavalcioni sui banchi del consiglio di fabbrica per annunciare ai lavoratori che avrebbe rinunciato alla “causa del secolo” per far entrare lo stato in società con ArcelorMittal. Da allora l’azienda ha completato il piano ambientale, mentre quello industriale stenta a decollare. I sindacati da mesi chiedono di spostare la vertenza dal ministero del Lavoro, dove non hanno firmato l’accordo per la cassa integrazione concessa da Orlando, al Mise. Lo stesso Giorgetti, al netto delle promesse che fa quando parla della siderurgia italiana al nord, da due anni tiene il dossier Ilva fermo (come dichiarato dal suo viceministro Todde) bloccato ogni volta da una campagna elettorale. Giorgetti se vuole fare la differenza e dare prova di governo, sa che l’unica cosa che può fare giovedì in fabbrica è dire la data di riavvio dell’altoforno 5. Chi l’ha detto che così non vinca anche le amministrative?
Annarita Digiorgio
Al direttore - “Pacifismo non è soltanto invocare la pace, pregare per la pace, dare testimonianza di volere la pace […]. Questo è il pacifismo etico-religioso, che si ispira consapevolmente all’etica delle buone intenzioni. Opporre la nonviolenza assoluta in ogni forma, anche la più piccola, di violenza. Offrire l’altra guancia. Meglio morire come Abele che vivere come Caino. Non è più possibile distinguere guerre giuste da guerre ingiuste. Tutte le guerre sono ingiuste. [Ma] non è forse vero che l’impotenza dell’uomo mite finisce per favorire il prepotente? In una situazione in cui, per osservare il principio della nonviolenza tutti gli stati fossero disposti a gettare le armi, l’unico che si rifiutasse di farlo diventerebbe il padrone del mondo” (Norberto Bobbio, “Il problema della guerra e le vie della pace”, il Mulino, prefazione alla quarta edizione, 1997).
Michele Magno
A proposito di chi parla di pace e di chi gioca con la pace. Ieri, le parole del vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo ed ex presidente della Federazione russa, Dmitri Medvedev, sugli occidentali brutti, sporchi e cattivi – “Li odio: sono bastardi e imbranati, vogliono la nostra morte, quella della Russia, e finché sono vivo, farò di tutto per farli sparire” – hanno offerto ragioni per svolgere alcune riflessioni. La prima riflessione riguarda il fatto che finalmente Medvedev ha involontariamente spiegato quali sono le vere ragioni per cui la Russia ha invaso l’Ucraina e tra le ragioni dell’aggressione nel Donbas è evidente che il punto centrale è quello sollevato dall’ex vicepresidente: l’odio nei confronti degli occidentali e l’impossibilità da parte della Russia di poter digerire il percorso democratico, occidentale, imboccato dall’Ucraina. Dunque, grazie Medvedev, che per un istante hai messo da parte la propaganda russa andando dritto al cuore della questione (a proposito di propaganda: ieri l’ambasciata russa in Italia si è preoccupata di smentire il Foglio, e altri giornali, per una ricostruzione “parziale” e “ingiusta”, relativa all’incontro di due giorni fa tra l’ambasciatore russo in Italia e il segretario generale della Farnesina: abbiamo cercato per diversi minuti di capire il senso della smentita dell’ambasciata, la Farnesina ci ha confermato tutto, ma più cercavamo di sforzarci a dare un senso alla propaganda russa e più ci veniva naturale pensare al metodo del pendolo a picchio sulla tastiera usato da Homer Simpson per prendere appunti). La seconda riflessione riguarda una malizia notata da una persona che conosce bene la Russia e che dopo aver ascoltato Medvedev ci ha inviato un sms pungente ma utile da riportare: “Non credevo alle voci sulla salute di Putin ma ora mi pare che Medvedev cerchi di mettersi in gioco per la successione”. Solo malizie. O forse no?