Cari giovani, in attesa dei lavori dei sogni datevi ai lavori che ci sono

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Sul dibattito surreale e molto estivo sui camerieri che non si trovano e che si ripropone ogni stagione. Possiamo prendercela coi ristoratori cattivi, con gli “imprenditori-sfruttatori” o all’opposto col salario-minimo e col Reddito di cittadinanza. Un dibattito perfetto per i social. Però tutti quanti (soprattutto in settori come comunicazione, giornalismo, industria culturale, servizi e simili) leggiamo da anni centinaia di curricula in cui tra lauree, corsi di formazione e alta formazione e master, post-master e dopo-master non si trovano quasi mai “tre settimane di servizio in sala all’Hotel Pinco Pallino di Cervia”, o commesso da Zara o aiuto al bar sotto casa. E infatti quando capita sono i più svegli, e danno una pista agli altri. Quando domando, “scusa ma come mai hai trent’anni e non hai mai lavorato un giorno in un bar o in un ristorante?”, la risposta non è mai “perché il compenso era basso”, ma “perché preferivo concentrarmi sul mio percorso”, o uno sconcertante, “i miei genitori non sono d’accordo, pensano mi distragga dai miei obiettivi”. Magari è un campione poco rappresentativo. Chissà. Però nel secolo scorso il cameriere stagionale e lavoretti simili non erano temi da lotta di classe. Non che i ventenni del Novecento preferissero servire ai tavoli che andare a Ibiza, ma capitava che le famiglie, anche benestanti, facessero una certa pressione per farglielo fare comunque. E in un paese in cui si resta a casa fino a trent’anni, la cosa aveva una sua funzione formativa, non economica: darsi una svegliata, prendere familiarità con cose come puntualità, rapidità, un minimo di fatica, uscire insomma dalla “comfort zone”, come si dice oggi. Invece capita che anche uno stage a 150 chilometri da casa (non dico il cameriere, ma lo stage!) sia vissuto non di rado come una specie di sradicamento (come dicevano quelli della “Buona scuola”, una “deportazione”).
Andrea Minuz 

 

La responsabilità forse più interessante che riguarda i lavoratori che non ci sono, e che ci potrebbero essere, riguarda un tema inconfessabile e non misurabile. Ed è una responsabilità che riguarda molti genitori incapaci, come succedeva un tempo d’estate, come è successo a molti di voi, a molti di noi, quando venivamo mandati a forza a pulire i pavimenti in un pub dopo un’estate discola, quando venivamo incentivati a guadagnare qualche sterlina da bar-back di Londra per pagarci le vacanze, incapaci, si diceva, di mandare i propri figli in età lavorativa a scoprire, in un bar o in un ristorante, cosa vuol dire iniziare a lavorare. E dunque la domanda è questa ed è la stessa che ci siamo posti mesi fa: per quale ragione i genitori che si ritrovano in casa figli che non studiano e non lavorano, piuttosto che sussidiarli con personali redditi di cittadinanza non spingono i propri ragazzi ad alzare il sedere dal divano e a fare, in attesa dei lavori dei sogni, i nobili lavori che ci sono?


  
Al direttore - La mia adesione entusiasta e incondizionata all’elogio del cameriere fatta sul Foglio di ieri da Giuliano Ferrara. Il cameriere è l’unico lavoratore di cui sempre e ovunque si può dire che la sua è una professione nobile, perché serve.

Ubaldo Casotto


  
Al direttore - Domenica ho compiuto il mio dovere votando “Sì” nei referendum che avevo a suo tempo sottoscritti. Confesso che il mio cruccio principale non è la sconfitta (peraltro annunciata), ma quello  di non aver detto, quando era il momento, che si stava commettendo un clamoroso errore di valutazione dell’avversario da battere. La sfida non era con la magistratura inquirente o con qualche partito manettaro,  ma con un’opinione pubblica sobillata da trent’anni  da campagne di antipolitica e giustizialismo, dai processi mediatici, dalla custodia in carcere “buttando via la chiave”. Quando  diventano assidui frequentatori dei talk-show, trattati come eroi,  i pm che non azzeccano una sola inchiesta, che vedono i loro teoremi sconfessati in giudizio; che si permettono di mettere all’indice le istituzioni e le più grandi imprese del paese;  gli stessi per i quali le persone assolte dai giudici terzi sono  dei colpevoli che l’hanno fatta franca; e che,  per risparmiare tempo, bisognerebbe  arrestare subito l’imprenditore  nello stesso momento in cui si è aggiudicata una gara d’appalto; quando succede tutto questo e altro (a proposito di Salvini: “Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”) che cosa potevamo aspettarci dall’elettorato?  Non si va a caccia di coccodrilli armati di una pistola d’acqua. Se ci divorano è solo colpa nostra.
Giuliano Cazzola

  

Il garantismo è una cosa seria, non un piccolo gargarismo da utilizzare per ripulirsi la coscienza nei giorni dispari, provando a far dimenticare i cappi mostrati in Parlamento, o nelle carceri, nei giorni pari.