(foto Ansa)

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Cari tassisti, lo status quo nuoce ai consumatori e a chi lo difende

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Le scrivo stavolta come lettore del Foglio, oltre che come collaboratore “molto” occasionale del giornale, e infine come tassista. Pretestuosamente, mi si consenta, colgo l’occasione di intervenire in seguito alla lettura dell’articolo di Giacomo Papi di qualche giorno fa inerente al cosiddetto e, a detta dello stesso Papi, semanticamente errato, sciopero dei tassisti. E’ vero, forse c’è un errore di definizione; un po’ come quando si facevano, e si dicevano, gli scioperi degli studenti, ai quali tutti, o quasi tutti, gli scolari aderivano “allegramente” per i motivi politici e/o goliardici che fossero. Papi suggerisce l’uso più appropriato di serrata, come si usa per i padroni del vapore o per i bottegai arrabbiati. E va bene! E sia. Chiamiamolo come vogliamo, eppure bisognerebbe stavolta fare emergere il motivo recondito di tale confusione, che da semantica diventa di senso, oppure, meglio ancora, l’inverso. La madre di tale confusione è la natura stessa del servizio taxi. E qui casca il Papi. Il servizio taxi è, si o no?, un servizio pubblico (?), gestito però da privati. La pax tra le parti era ed è a tutt’oggi, ma domani chissà, garantita da questo patto; tu mi concedi la possibilità di svolgere il “tuo” servizio pubblico e io ricavo la “mia” dignità salariale garantendo la necessità democratica allo spostamento del cittadino che paga di tasca propria il servizio con tariffe concordate tra le parti sociali, che si sposta protetto in una vettura revisionata e assicurata secondo direttive chiare, trasparenti e obbligatorie, condotta da un autista identificabile da sigle e numeri di licenza ben esposti e reperibili. Vorrei evidenziare qui che i conducenti di piazza sottostanno a un regolamento di servizio comunale rigido, che impone il rispetto di norme riguardo l’allestimento vettura, certificazioni sanitarie, normative e di comportamento individuale da parte del conducente, che viene quotidianamente sottoposto a verifica da parte di una zelante “squadra vetture”. Ciò detto veniamo a quel che il Papi non scrive, fermandosi sull’orlo del baratro ma senza guardarci dentro, sostanzialmente attestandosi sul “vago senso del consumatore per i tassisti”, avrebbe forse scritto David Forrest Wallace, e che poi non è che la comfort zone dove abitano i cittadini consumatori arrabbiati, perché non accade mai come nei film di alzare un dito, avere un taxi che magicamente appare e poi infine scendere senza mai pagare: offerta inadeguata alla domanda. Tale proposizione pronta e facile all’uso funziona sempre appunto perché generica nei termini, apparentemente intelligente, storicamente aderente alla contemporaneità. Eppure ci si dimentica che non si sta giocando nel campo del puro mercato tra privati. Si sta giocando una partita cruciale nella vita democratica delle città, e quindi delle persone. La garanzia al diritto allo spostamento nel e sul territorio usando mezzi garantiti dall’ente pubblico a prezzi calmierati. Qui, nel campo delle garanzie costituzionali e dei diritti dei cittadini, siano essi consumatori oppure lavoratori, la semplice partita a saldo zero offerta-domanda non funziona. Non funziona per il semplice fatto che la stessa clava ricattatoria nei confronti dei tassisti della offerta superiore alla domanda verrà immediatamente usata sulle teste dure, e poi sempre più piegate, dei consumatori costretti a pagare carissime le loro corse perché non più garantiti dal tassametro ma vessati da un algoritmo che farà impennare i prezzi delle corse non appena i picchi della domanda sopravanzeranno l’offerta. E il servizio di trasporto pubblico universale, calmierato nei prezzi, responsabilmente identificabile non potrà essere garantito. Qui, nel campo ormai catastroficamente abbandonato della dignità del e nel lavoro si vorrebbe un servizio che vada oltre il low cost, lo si vorrebbe forse “zero cost” , con cittadini lavoratori abitanti perennemente nella loro casa-vettura, sgangherata perché non in grado di mantenerla efficientemente e degnamente, che trasportano cittadini consumatori finalmente felici perché alzano la mano, prendono un taxi e una volta arrivati non pagano la corsa. 
Andrea Panzironi, tassista 

 

Caro Panzironi, la sua lettera è appassionata e ben scritta, oltre a essere interessante, ma dimentica di cogliere un punto, che è l’essenza del nostro punto. E la questione è semplice: se al centro del suo ragionamento vi è l’importanza di offrire un buon servizio ai clienti, ai cosiddetti consumatori, che danno può arrecare ai consumatori avere una maggiore concorrenza che inevitabilmente crea una maggiore competizione la quale inevitabilmente crea non solo una maggiore e forse migliore offerta ma anche costi potenzialmente più attrattivi rispetto a quelli attuali? Il punto è tutto qui, mi sembra. E’ non considerare, per chi svolge il suo prezioso lavoro, l’apertura del mercato come un attacco personale a una categoria. Lo status quo, di solito, non fa bene né ai consumatori né a chi lo difende. Un saluto caro.

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