Lettere
I populisti di governo alla prova: dovranno imparare a considerare l'Europa un alleato
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa. Le lettere del 1 ottobre 2022
Al direttore - I neri sono gli africani, i gialli sono i cinesi, i bianchi sono gli occidentali, i rossi sono gli indiani. E allora chi cacchio sono i verdi?
Michele Magno
Al direttore - Non foss’altro per il fatto che nonostante la, come dire, non esaltante performance della Lega, Salvini può comunque sedersi al tavolo dei vincitori, buon senso e un pizzico di prudenza dovrebbero suggerire un profilo più consono ora che la prospettiva di andare al governo si è fatta concreta. Ma niente. Al netto della melina, fisiologica in simili circostanze, e della retorica di rito della comunicazione ufficiale, le cronache di questi giorni restituiscono uno scenario tutt’altro che confortante. I più sgamati per non dire cinici dicono che, tranquilli, solito film, alla fine tutto s’aggiusta, si troverà la quadra del cerchio e vivranno tutti felici e (s)contenti. Sarà. Resta il fatto che tanto più in un momento come quello che il paese sta attraversando, simili siparietti ce li potremmo anche risparmiare. Ma come? Sei uscito con le ossa rotte dalle elezioni, hai lo stesso la possibilità di andare al governo e mettere in pratica il programma che ora, e giustamente, chi ha votato centrodestra (e non solo) a questo punto s’aspetta di vedere tradotto in azioni concrete, e ci tocca assistere a questa indecente, imbarazzante e inopportuna sceneggiata che neanche mio figlio piccolo quando fa i capricci? E per che cosa poi? Solo e unicamente per mero tornaconto personale o ci siamo persi qualcosa? Scusate il gioco di parole ma qua siamo ai confini della lealtà (oltretutto). Una volta tanto dimostrate di essere all’altezza del mandato solenne – e sottolineo solenne – che vi è stato conferito; dimostrate di essere (De Gasperi docet) non politici che pensano alle prossimi elezioni ma statisti che pensano al futuro delle prossime generazioni. C’è una bella differenza.
Luca Del Pozzo
Al direttore - Il conferimento dell’incarico di ministro dell’Economia a un tecnico di elevata competenza occupa da giorni il primo piano delle cronache. Fra i nomi dei presunti “candidati” spicca quello di Fabio Panetta con uno straordinario curriculum e con la credibilità riconosciutagli in Italia e all’estero. Non si conosce l’effettiva reazione, se non attraverso indiscrezioni riportate dalla stampa, dell’ex direttore generale della Banca d’Italia, ora autorevole membro dell’esecutivo della Bce. L’impegno viene sollecitato con l’appello a servire il paese ancora in uno “stato di eccezione”, per i problemi incombenti, diversi di origine esterna. Ovviamente, lo stato si serve anche da una istituzione fondamentale come la Banca d’Italia e dalla partecipazione con il governatore al Consiglio direttivo della Bce. Quanto in generale alla figura del “tecnico” – e a tutto ciò che nei secoli è stato scritto al riguardo, nonché, meno da lontano, da Max Weber anche su chi occasionalmente assume una funzione politica – c’è da chiedersi se a un governo che incarni una precisa e strutturale linea politica, sia di destra, di sinistra o di centro, un tecnico possa partecipare senza con ciò, in nome della purezza della tecnica, poter fare astrazione da tale linea e, sia pure in parte, corresponsabilizzarsi nella sua conduzione. Naturalmente, è possibile che consapevolmente si aderisca all’impostazione politica del governo, come nel caso che fu degli “indipendenti di sinistra” o dello stesso Ciampi, molto vicino, però, ai tempi al partito di azione, il quale prese parte, nel 1996, al governo dell’Ulivo di Prodi quale ministro del Tesoro, per non ricordare il liberale Einaudi e la sua coerente partecipazione al governo De Gasperi. Tutto ciò si è svolto in maniera trasparente e, appunto, coerente. Ora il problema è superato? Con i più cordiali saluti.
Angelo De Mattia
Lascerei in pace Fabio Panetta, che mi pare essere una preziosa riserva della Repubblica più che una riserva dei dirigenti del Mef, e mi concentrerei piuttosto su un elemento importante, che coincide con quella che sarà la vera prova di maturità dei populisti di governo: considerare l’Europa come un alleato per costruire soluzioni e non come un nemico contro il quale costruire indignazioni. E in questo senso, vedere il premier in pectore, Giorgia Meloni, dire in queste ore che di fronte al caro bollette occorre più Europa, occorre più solidarietà, occorre più spirito di collaborazione da un lato suscita curiosità e interesse e dall’altro suscita ironia, se si pensa al tempo che i vecchi antieuropeisti (Meloni compresa) hanno passato a sostenere la tesi opposta. Durerà? Speriamo di sì.