Lettere
La posizione di Conte sulla guerra? La colpa è sempre dell'occidente
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Ho letto con sgomento, ieri, un passaggio della clamorosa intervista rilasciata da Giuseppe Conte all’Avvenire, e quasi sono svenuto. Dice Conte: “L’ossessione di una ipotetica vittoria militare sulla Russia, che nel frattempo continua nella sua efferata e ingiustificabile politica di aggressione, non vale il rischio di un’escalation”. Non so lei, ma trasecolo.
Luca Martoni
Sulla guerra in Ucraina, Conte è riuscito a dire tutto e il contrario di tutto. Ha detto di voler smettere con l’invio di armi all’Ucraina, ha di fatto quasi buttato giù un governo su questo, e poi, in una trasmissione televisiva, ha detto a chi scrive di essere “orgoglioso” per aver aiutato, come occidentale, l’Ucraina a difendersi arrivando a dire di essere desideroso di vederla riconquistare “tutti i territori perduti”. Oggi definisce “ossessione” quello che fino a qualche giorno fa era “orgoglio”. Dunque, si desume che prima il problema era che questa guerra non si poteva vincere, oggi il problema è che questa guerra si può vincere. Può sembrare una contraddizione, ma il filo logico c’è ed è evidente: la colpa in definitiva è sempre dell’occidente, oh yes.
Al direttore - Il vero elemento anomalo di ciò che sta accadendo sulla questione gas è il sistema di formazione del prezzo del gas, e in particolare il suo maggiore indicatore e cioè il Ttf (Title Transfer Facility) letteralmente inventato dalla cosiddetta Borsa di Amsterdam e supinamente accettato dai paesi europei. Se questo parametro dovesse continuare la sua nefanda influenza finiremo con il subire una crisi generata artificialmente da un gruppo di speculatori internazionali, stati sovrani compresi. Vediamo perché. I volumi fisici di gas consumati nel mondo sono paragonabili a quelli del petrolio ma la cosiddetta Borsa del gas di Amsterdam vede scambi di contratti solo per 1-2 miliardi di euro al giorno, mentre la Borsa petrolifera di Londra vede acquisti e vendite per circa 2 mila miliardi al giorno. Ad Amsterdam non c’è sufficiente liquidità e non ci sono volumi fisici a supporto dei contratti finanziari scambiati, per cui ogni richiesta appena appena superiore alla norma determina un impazzimento del prezzo. Nell’autunno che ci aspetta corriamo il rischio di un deficit dell’offerta di gas, ma se a questo rischio noi, e l’Europa nel suo complesso, facciamo di tutto per aggravarlo utilizzando un indicatore fasullo per il prezzo del gas, saremmo tutti da manicomio per non dire altro. Olanda, Danimarca e la stessa Norvegia che non fa parte dell’Unione ma che ha con l’Unione intensi rapporti commerciali non possono più continuare a speculare su di una strana contingenza attivata dai comportamenti della Russia di Putin. Dobbiamo dunque recuperare tutti lucidità e coraggio e fare un bagno di verità verso l’opinione pubblica. Anzitutto dobbiamo disporre della piena trasparenza dei prezzi di acquisto del gas relativi ai contratti di lungo periodo, prezzi che, notoriamente, sono decisamente più bassi dell’attuale Ttf. Abbiamo due grandi operatori nazionali quotati in Borsa, il cui azionista di maggioranza relativa è il ministero dell’Economia. Parliamo di Eni e di Enel che dovrebbero fornire al governo i prezzi di acquisto. Finora, però, questa conoscenza non è avvenuta e non si sa il perché. Vi sono, per caso, altri trader internazionali che fanno alzare con le proprie richieste di acquisto i prezzi nella cosiddetta Borsa di Amsterdam, e se sì quali sono? La vox populi indica quattro di queste società e alcune di queste hanno rapporti amichevoli con la Russia di Putin che guarda caso è il beneficiario del rialzo dei prezzi del gas. La piena trasparenza è un elemento necessario per convincere, con le buone o con le cattive come si usa dire, gli speculatori, compagnie o stati sovrani che siano, a dismettere atteggiamenti che stanno procurando disastri nelle popolazioni europee riportando la calma in un mercato, quello delle materie prime, che riguarda da vicino la vita del mondo intero. Infine, un’ultima fondamentale domanda: quale vincolo lega l’Italia e i paesi europei alla Borsa di Amsterdam, nata, se la memoria non ci tradisce, nel 2003, una Borsa, peraltro, lillipuziana per numeri di contratti scambiati e totalmente opaca sul piano delle regole? Urgono risposte più ancora dei bonus per famiglie e imprese.
Paolo Cirino Pomicino