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Il “principio di falsità” di Popper applicato a Giorgia Meloni
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore – Metterci la faccia o perderci la faccia? Questo, per Meloni, è il problema.
Luca Raimondi
A proposito. Il filosofo Karl Popper anni fa coniò un’espressione interessante: il principio di falsità. Teoria semplice: un concetto è dimostrabile solo se può essere vero il suo contrario. Applicare il principio alla frase di Meloni: possibile, quando ci si può preparare a fare un governo, non metterci la faccia? Ricordarselo, prima del prossimo titolo di giornale sparato un po’ a casaccio (“Meloni: ci metto la faccia”).
Al direttore - E’ vero che l’attenzione è presa dal totoministri per quel gusto gossiparo che ha preso, secondo il gagliardo insegnamento del compianto Guido Quaranta, ormai tutti i commentatori, che si passano l’oscar per il retroscenismo più ruspante sempre con generosi ex aequo. Qualche volta, però, bisognerebbe portarsi un pò più avanti col lavoro e provare a guardare un tantino più largo. Domanda: dopo aver celebrato per una settimana buona la vittoria epocale, Giorgia Meloni che cosa deve fare per mettere al riparo il suo governo futuro da nequizie ulteriori rispetto alla dose spettante in quanto Esecutivo al tempo di guerra e di recessione? E ancora: lei che ha agitato la bandiera presidenzialistica come biglietto da visita del vincitore, come farà per piantarla nel pennone del Quirinale? S’io fossi Giorgia mi occuperei innanzitutto dell’accoglienza internazionale. Beninteso: la politica internazionale non è coercibile da antipatie o innamoramenti di sorta, ma viene guidata solo dagli interessi. Reciproci. E l’Italia è “in sè” un’entità politica non trascurabile. Tuttavia è retrocedibile. Allora: se fossi Giorgia non avrei troppi patemi d’animo sul “fronte occidentale” d’oltreoceano, storicamente osservato come riferimento. I problemi “relazionali” sono più nel recinto europeo, dove la personale reputazione di Draghi ci aveva fatto guadagnare un ruolo di inedita centralità tra quelli che danno le carte, piuttosto che subirle. Adesso il pericolo è il rientro nella modalità “Italietta”.
La presidente “in coming” ha aperto un buon canale di comunicazione e di rispetto con il presidente uscente. Forse può fare qualche passo ancora: Draghi ministro degli Esteri non suonerebbe male: è questo il ruolo che nella gloriosa Prima Repubblica si confaceva al Presidente del Consiglio uscente. La proposta potrebbe non essere accettata? Forse, ma avanzarla sarebbe già un atto politico. S’io fossi Giorgia insisterei con la Presidenza della Camera all’opposizione. Anche questo gesto rappresentò, in passato, qualcosa di più di un gentlemen agreement tra forze politiche distanti, facendosi leggere come una forma di legittimazione offerta ad una forza di opposizione che rappresentava una parte importante del Paese. A ben vedere oggi il paese è spaccato a metà, solo che una delle due ha saputo organizzare anche una strategia elettorale, l’altra no. Oggi un gesto di apertura come quello del conferimento all’opposizione della terza carica dello Stato, farebbe bene anche a Meloni oltre che alla costruzione di un clima. S’io fossi Giorgia lascerei stare la Commissione Bicamerale per le Riforme: se ha bisogno di carte attinga pure dalle tre bicamerali che dagli anni ‘80 ai ‘90 hanno lavorato alacremente – insieme a successive commissioni varie di esperti – per produrre grande dottrina e zero risultati. E’ più che condivisibile la necessità di mettere mano alla seconda parte della Costituzione, ma con una visione d’insieme e con strumenti che si sottraggano alle maggioranze del governo pro-tempore. Andrebbe concepita una Commissione per le riforme eletta direttamente dal popolo, con sistema proporzionale e voto di preferenza, per salvare il prodotto finale dal muro contro muro della battaglia parlamentare e sottoporlo esclusivamente al verdetto del popolo sovrano. Sarebbe un passo importante per un partito come Fratelli d’Italia, che discende dai lombi del “polo escluso” e, dunque, non è parte del patto costituzionale del 1948. Essere partito di governo significa anche essere soggetto attivo di un’Etica Costituzionale condivisa. Ci sarebbe anche la legge elettorale da cambiare, ma dato che non sono Giorgia Meloni, mi astengo.
Pino Pisicchio