LETTERE
I negazionisti trumpiani si stanno leccando le ferite di midterm
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Elezioni midterm in America: Biden pensa che il bicchiere sia mezzo pieno; Trump pensa che il bicchiere sia suo.
Michele Magno
A proposito di bicchieri. Qualche nome da sorseggiare. Tim Michels in Wisconsin. Tudor Dixon in Michigan. Doug Mastriano in Pennsylvania. Dan Cox nel Maryland. Darren Bailey nell’Illinois. Cosa hanno in comune questi profili? Sono tutti politici americani. Sono tutti repubblicani. Sono stato appoggiati tutti da Trump. Hanno passato gli ultimi due anni a negare che Trump abbia perso le elezioni. E ieri hanno passato la giornata a leccarsi le ferite e a riconoscere, guardandosi tra loro, che i negazionisti, come ha scritto ieri la Cnn, “sono stati i veri perdenti del midterm”. Slurp.
Al direttore - Oltre a quanto già espresso da Matteo Matzuzzi nella sua risposta, che sottoscrivo da cima da fondo, vorrei solo aggiungere un paio di considerazioni in merito alla lettera di mons. Paglia ospitata qui ieri a proposito della controversa nomina dell’economista Mariana Mazzucato alla Pontificia Accademia per la Vita. Lettera che se possibile è stata la classica toppa peggiore del buco. Per due ordini di motivi. Primo, perché che un prelato sostenga che vi sia un rapporto di causa-effetto tra l’alleviamento delle diseguaglianze in primis economiche e un maggior favore verso la vita, significa condividere categorie e lettura della realtà che da queste deriva di ordine materialistico e in quanto tali incompatibili con una visione cattolica. Come ha spiegato su queste colonne Ritanna Armeni in un memorabile intervento (“I figli che non vogliamo”, 17/05/21), economia e povertà c’entrano nulla con la scelta di non fare figli. I figli non si fanno innanzitutto perché non si vogliono. C’è insomma una questione di ordine culturale prima ancora che tutto il resto. E quando il tema è culturale, trattarlo in ambito ecclesiale sia pure con un approccio scientifico comporta, dovrebbe comportare un approccio che inevitabilmente chiama in causa la fede. Altrimenti ci si riduce all’ennesimo think-tank. E qui vengo al secondo ordine di motivi. Quando si valutano i curricula per un eventuale incarico in un organismo ecclesiale come la Pav (leggi bene: ecclesiale, siamo d’accordo su ciò che significa?), i convincimenti e le credenze di Tizio o Caio non possono non essere presi in considerazione. A meno, ovvio, di non voler credere alla favoletta della neutralità del metodo scientifico. E da questo punto di vista fa, eccome, la differenza ingaggiare un/una studioso/a credente oppure no. Tanto più che ne esistono, e di eccellenti, di economisti cattolici. La domanda dunque resta: perché proprio un’abortista alla Pav?
Luca Del Pozzo
Sottoscrivo la risposta offerta ieri dal nostro Matteo Matzuzzi al gentile monsignor Paglia: “Comprenderà che per un semplice fedele sarà arduo ricordare le parole del Papa secondo cui l’aborto ‘è un omicidio e non è lecito diventarne complici’, quando poi nella Pontificia accademia per la vita da lei presieduta ci finisce una signora abortista convinta”.
Al direttore - Sarebbe tanto cortese, caro Cerasa, da spiegarmi perché nel Pd hanno abbandonato Marx per seguire la dottrina Tafazzi? A pochi mesi dalla vittoria di settembre l’alleanza di destra si incrina in Lombardia, la regione più importante d’Italia. E il Pd – che dopo decenni di sconfitte potrebbe rovesciare il risultato, sostenendo, insieme a Terzo polo la candidatura di Letizia Moratti alla presidenza della regione – si comporta come una persona che ha vinto alla lotteria ma si vanta di aver gettato il biglietto. Come se non bastasse, i dem hanno trovato il modo di bruciare anche la candidatura di Carlo Cottarelli. Ma la cosa che più offende è la campagna di discredito che stanno portando avanti nei confronti dell’ex sindaco ed ex ministro di Silvio Berlusconi, proprio loro che nella storia recente non hanno mai esitato a riciclare personalità provenienti dal centro destra (come Dini e Mastella, per esempio) fino al punto di consentire, nel 2019, a Giuseppe Conte di cambiare casacca e maggioranza. dopo che era implosa quella gialloverde. Ma le sembra normale che un partito scelga di perdere quando potrebbe vincere,nell’ambito di una coalizione più che dignitosa e realizzando peraltro un’operazione politica di rilievo nazionale?
Giuliano Cazzola