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L'Ue ha più estimatori fra i suoi nemici che nell'opinione pubblica
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Per Salvini un gommone è più sicuro di un van omologato per sette posti.
Michele Magno
Al direttore - Antonio Panzeri, Marc Tarabella, Giuseppe Meroni. Tre uomini coinvolti nell’inchiesta sull’eurocorruzione, anche se Tarabella non è indagato, che hanno in comune qualcosa che farà piacere più agli juventini che agli anti europeisti. Cosa? Chiedere per credere a Boulevard du Triomphe, toegang 8, all’Inter Club Europa Bruxelles.
Luca Bartoloni
Oh no!
Al direttore - Un ricercatore egiziano, tale Ahmad Saleh sostiene di aver decifrato da geroglifici impressi su papiro la storia di un funzionario tebano di nome Peser che, 3.000 anni a. C., al tempo del faraone Ramses IX, si dava da fare in combutta con una banda di ladroni per depredare tombe di faraoni. Pare che il fedifrago abbia poi subìto un processo ma se la sia cavata. La dottrina, però non è unanime sul ritrovamento. Secondo John Noonan, invece, le prime testimonianze scritte sulla corruzione nell’antichità risalgono al codice di Hammurabi, XVIII secolo a. C. e raccontano di un giudice infedele che aveva modificato la propria sentenza a seguito del passaggio nelle sue tasche di un cospicuo gruzzolo, presumibilmente nascoste dalla kandis, l’abito “buono” dell’epoca provvisto di maniche capienti. In realtà l’indegno giudice di duemila anni fa non si rendeva conto di farsi, con quel gesto reso eterno dalla sentenza di condanna, caposcuola di una stirpe di funzionari pubblici che avrebbe avuto epigoni in tutte le latitudini del mondo e in tutti i secoli dei secoli, fino a rimbalzare nelle aule del Parlamento europeo del 2022. Perché c’è poco da filosofare: la tentazione resta impigliata come una sostanza colloidale, come una vischiosissima pania, all’essere umano e, più alta è l’esposizione alla sua fonte, più eroica sarà la resistenza del funzionario pubblico. Categoria, quest’ultima, in cui trovano spazio sia i servitori dello stato intesi come pubblici impiegati sia quelli eletti dal popolo sovrano nelle assemblee rappresentative. Tutti gli storici concordano sul fatto che la corruzione cammini con passo più svelto quando le civiltà sono più vicine al declino. Nel tempo odierno, quello dell’immediato, che è più veloce di suo, di qui al declino è solo un soffio. Che cosa racconta, allora, questa storia sgradevole delle “mazzette del golfo” ammucchiate come robe vecchie negli angoli di casa di europarlamentari ed ex da cui ogni tanto un compassato congiunto attinge e passa via come avesse preso in prestito le bustine della camomilla che erano finite? Che se fossimo in un giallo di Costantini avremmo un plot perfetto: la bellissima dark lady Kaili, il suo aitante compagno, un po’ toy boy e un po’ brasseur d’affaires, il politico italiano, navigato e coperto dall’aura di una sinistra penitente, il sindacalista, qualche spia qua e là, i soldoni, gli sceicchi, che già in partenza sono portatori di mistero, con kefiah, occhiali da sole e tanto petrolio. Ma, anche se la torsione verso la fiction avvolgerà lo spirito guardone di moltitudini, c’è qualcosa di più tragico che accade e riguarda la reputazione dell’Ue a cui, piaccia o no, è attaccato il nostro destino. Con quale autorevolezza l’Europa potrà alzare il suo rimprovero a comportamenti di stati membri non in linea con le regole condivise? Certo, non è una pecora nera che può descrivere il colore di un intero gregge, ma se la nostra mente rivà a più o meno recenti gigantomachie del Parlamento con le lobby più forti, tipo la riforma del diritto d’autore che toccava gli interessi dei grandi del digitale, ci rendiamo conto che una decisione finale, peraltro molto mediata, può essere assunta anche dopo 17 anni di attesa dall’approvazione della prima direttiva. Tempi che in materia di digitale valgono come gli anni luce. La riforma alla fine passò (e questo va a merito del Parlamento), ma quante volte si fermò per strada per l’inciampo dei “necessari approfondimenti”? E’ l’Europa delle lobby e delle procedure bizantine che ha avuto una crescita ipertrofica rispetto a quella della politica e del “burden sharing”, della solidarietà tra stati sovrani. A parte registrare, en passant, la chiacchiera da Bar Sport: “Se quel fiume di banconote ha attraversato gli appartamenti e (forse) i conti offshore di qualche europolitico staff compreso, che cosa sarà successo ad altri organismi non politici implicati nella vicenda del Mondiale di calcio”, resta l’urgenza di una ripresa di autorevolezza da parte dell’Unione. Regole, certo, ma anche politica. Politica alta: è il momento di rilanciare il progetto federale, quello che può farci attori in un mondo che sta rivedendo le sue mappe del potere. Se siamo seduti al tavolo di gioco, forse, diventa più difficile comprarci.
Pino Pisicchio
Spunti interessanti. Gliene propongo anche un altro, che fa parte del plot. A volte, i nemici del Parlamento europeo sembra abbiano una consapevolezza del prestigio che ha il Parlamento europeo molto superiore a quella che ha l’opinione pubblica europea.
Al direttore - Il Btps si inserisce innanzitutto nel solco della storia di emissioni di titoli di stato destinati a un pubblico di risparmiatori italiani, come Btp Futura e Italia che l’articolo di Mario Seminerio ben richiama, che hanno avuto un grande successo sui mercati finanziari, con sottoscrizioni di molto superiori al volume offerto. Basti ricordare la recente emissione del Btp Italia di novembre 2022, dove una forte domanda è arrivata proprio dai piccoli risparmiatori italiani, con ordini per oltre 3 miliardi nel solo primo giorno di offerta. Pertanto il successo di questi titoli è dettato proprio dal riscontro dato dal mercato e non certo dalle bizzarrie o dai capricci del governante di turno. Chi si proclama “alfiere del mercato” dovrebbe riconoscerlo e fermarsi a questa evidenza, poiché non ci si può professare economisti pro mercato “a targhe alterne”. Basterebbe quanto scritto in queste poche righe per smontare il costrutto un po’ pretestuoso dell’articolo di critica al Btps di Seminerio. Mi soffermo però nuovamente sulle ragioni alla base della volontà di concepire e lanciare sul mercato un nuovo strumento come il Btps e i motivi fondanti il successo di prodotti finanziari similari emessi in passato. Innanzitutto, la volontà di dedicare un titolo di stato al risparmio italiano si colloca in un momento storico preciso, in cui il nostro paese ha l’opportunità di avviare un ambizioso piano di riduzione dei forti gap infrastrutturali ancora presenti, dando ancor più robustezza, a livello finanziario, al piano di ripresa post pandemico già incardinato. La motivazione sottostante è quindi di mobilitare il risparmio privato verso progetti di rilevanza comune e non certo di ottemperare a un qualche disegno estemporaneo di ristrutturazione o, ancor peggio, di “maquillage” del debito pubblico. La scelta di riservare questo strumento ai soli risparmiatori italiani non è un capriccio sovranista, bensì la strategia segnaletica di mercato per richiamare l’attenzione dei risparmiatori italiani a uno strumento di investimento sempre gradito e che è ritornato a produrre rendimenti interessanti, dopo una fase di anestetizzazione artificiale indotta delle politiche monetarie espansive. Non da ultimo, è un modo per orientare la domanda alla ricerca di protezione del valore finanziario del proprio capitale di contrasto alle recenti spinte inflazionistiche. Qualora gli argomenti menzionati nelle precedenti righe non convincano, saranno ancora i mercati finanziari a emettere il loro giudizio finale. I mercati in cui un liberale non “a targhe alterne” come il sottoscritto continua a credere, a prescindere da ideologie o appartenenze politiche.
Giulio Centemero, deputato della Lega
Risponde Mario Seminerio: Btp Futura e Italia sono titoli “normali”, con una regolare indicizzazione ai prezzi di mercato, con un “normale” premio per il possesso a scadenza e, soprattutto, quotati. Ben altra cosa sarebbe un Btp privo di quotazione, quindi illiquido, costruito con molteplici indicizzazioni (all’inflazione ma anche alla variazione del pil) e soprattutto con un ulteriore premio di rendimento dato dalla sua singolare deducibilità fiscale, come da proposta. Trovo peraltro singolare che si parli di “anestetizzazione artificiale” dei rendimenti “indotta da politiche monetarie espansive”. Meglio sarebbe definirli come la rete di protezione che ha rinviato la resa dei conti con la non-crescita italiana. Concordo col rinvio del giudizio al mercato, che è l’unico sovrano. Sono sin d’ora pronto a scommettere che, ove mai questo prodotto arrivasse sul mercato, sarebbe creatura ben differente e meno costosa di quella un po’ onirica tratteggiata in questa proposta di legge.