Foto di Fabio Frustaci, via Ansa 

Lettere

A volte in politica fottersene del passato è il solo modo per avere futuro

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Michele Magno, ieri sul Foglio, ha detto, parafrasando Sciascia, come si fa a non essere pessimisti in un paese dove la maggioranza degli elettori, a dritta e a manca, si vanta di fottersene del passato. Ascoltando il dibattito interno al Pd mi sembra che però il problema sia opposto: più si parla di passato e meno si pensa al futuro. 
Lucia Martini

 

In alcuni casi, in effetti, in politica fottersene del passato è l’unico modo per provare ad avere un futuro. Come dice un vecchio saggio siciliano, “zoccu ora si schifia veni lu tempu ca si ddisia”. 


 

Al direttore - Nella cultura popolare e istituzionale italiana domina il “tabù del pallone”, una singolare franchigia extra legge che riguarda le squadre, gli stadi, i giocatori, i dirigenti, le società, i tifosi e i non pochi delinquenti che agiscono sotto copertura dei colori sociali. In Brasile si inseguono i finanziatori della sommossa di piazza dei Tre poteri per far loro pagare le spese per il restauro delle splendide architetture di Niemeyer. Quante volte, in Italia, le autorità giudiziarie e di sicurezza hanno preteso che gli organizzatori (ben noti) delle bande armate che creano danni (e talvolta feriti e morti) alle città, ai trasporti, ai monumenti storici risarcissero la comunità? Il mondo del pallone (dove girano centinaia di milioni à gogo) pretende di essere una repubblica legibus soluta nella Repubblica. Altro che “daspo”! Ci sarà qualcuno che sui recenti fatti dell’autostrada, oserà applicare i codici penale e civile come si fa per qualsiasi altro cittadino? Un saluto.
Massimo Teodori 

 

Direi di sì, caro Teodori, e il problema qui mi pare un altro semmai: l’indignazione per la scelta garantista del giudice che ha negato l’arresto per due ultras. Pensi un po’: lo stato di diritto vale anche per i terribili ultras.


 

Al direttore - Ci eravamo un po’ dimenticati del buco nell’ozono. Che poi un buco non era, ma un assottigliamento dello strato di ozono che nella stratosfera ci protegge da alcuni effetti dannosi dei raggi solari. Eppure era stato, negli anni 80, uno dei grandi allarmi sul degrado dell’ambiente. Faceva coppia fissa con le piogge acide causate dalla presenza in strati più bassi dell’atmosfera di inquinanti, prima di tutto anidride solforosa, rilasciata dalla combustione del carbone soprattutto nel centro dell’Europa, Germania e Polonia.

Poi è arrivato l’effetto serra  a prendere il primo posto nelle preoccupazioni ambientali e siccome una preoccupazione basta e avanza il resto è passato un po’ in secondo piano. Ma oggi il buco si fa vivo di nuovo grazie a una buona, anzi ottima notizia. Si sta riducendo e in qualche decennio dovrebbe, secondo l’Onu, scomparire del tutto. Le sostanze chimiche che lo causavano, i Cfc, largamente usate all’epoca negli spray, nei refrigeranti e in altre applicazioni, sono state bandite dal protocollo di Montréal, diventato esecutivo nel 1989, e poi sostituite con altre sostanze innocue. Un bell’esempio di innovazione tecnologica che ha migliorato la nostra condizione senza abolire spray, frigoriferi e materie plastiche. Bene. Una preoccupazione in meno e qualche abbronzatura in più. 
Chicco Testa


 

Al direttore - Caro Cerasa, il limite dei 30 km/h che s’impone a Milano è una misura deprimente e depressiva. Si vorrebbe, per decretazione locale, rallentare il mondo. Una città lento pede è l’immagine di una città morta, una pretesa di vagabondare ecocompatibile in luogo di un operare. Si prescriva, come cura, visita urgente al Museo del Novecento ubicato in Piazza Duomo, volgendo l’intera attenzione alla Galleria del Futurismo; e che si celebri sempre il mito della velocità (che è tutt’uno con il mito dell’uomo).
Michele Silenzi

 

Sarei forse meno dogmatico sul punto. Sappiamo, lo dicono i dati della Commissione europea, che in Europa ci sono ogni anno 22 mila persone che perdono la vita sulle strade. Sappiamo che nel 30 per cento dei casi gli incidenti sono causati dall’eccesso di velocità. Ci si potrebbe chiedere come si fa a far rispettare un limite di 30 km/h se spesso non si riesce a far rispettare neppure il limite dei 50 km/h, questo sì, e ci si potrebbe chiedere se una misura del genere serva davvero, se è vero che nelle città italiane la velocità media è già di 15 km/h, 8 km/h nelle ore di punta.

Ma in alcune città dove si è scelto di sperimentare il limite dei 30 km/h, come Bruxelles, i numeri non sono male. Nei primi quattro mesi del 2021, a Bruxelles ci sono stati 635 incidenti contro gli 814 dei primi quattro mesi del 2020 (e nel 2020 la pandemia aveva già ridotto la mobilità). E il numero di persone morte sul posto o gravemente ferite durante i primi tre mesi dell’anno è stato il più basso degli ultimi cinque anni. Leggo poi una ricerca riportata dal circuito Today.it secondo cui per percorrere 500 metri all’interno di una zona 30 si impiegano 5,10 secondi in più rispetto allo stesso percorso con il limite di 50 km/h. Per capirci: per perdere un minuto di tempo occorre percorrere almeno 6 chilometri. Misura deprimente e depressiva? Anche no, mi sembra.

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