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Essere o non essere? No, cosa fare o non fare è il problema del Pd

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Il fatto che la capitale, dopo qualche anno vissuto in tono minore rispetto ai nostri competitor europei, torni a esercitare il suo fascino e la sua attrattività sui grandi investitori nel campo dell’hotellerie, come ha scritto ieri il suo giornale, non può che essere letto in chiave positiva dalla nostra categoria. L’approdo a Roma di questi grandi marchi internazionali, come Four Seasons, Bulgari e Mandarin, significa automaticamente portare la città  allo stesso livello delle grandi capitali europee, e tornare ad avere “in casa” un certo tipo di clientela, ovvero quella che viaggia solo dove  può trovare questi brand internazionali. Sicuramente è una circostanza da cui trarrà beneficio tutto l’indotto e tutta l’economia della città. Allo stesso tempo non bisogna però dimenticare gli alberghi esistenti: l’unico modo per farlo è aiutarli a riqualificarsi per poter essere in grado di sostenere la concorrenza con questi giganti dell’hotellerie che molte volte, dietro, hanno dei fondi sovrani.

Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi

Viva le cinque stelle che salveranno l’Italia.

   


  

Al direttore - “Non mi iscriverei mai a un club che accettasse tra i suoi soci persone come me”. E’ una battuta di Groucho Marx – rilanciata da Woody Allen – che evidenzia la crisi di nervi in cui versa il Pd. E’ il gruppo dirigente che si autoaccusa di aver governato per dieci anni su undici senza aver vinto le elezioni, di aver fatto politiche che non erano di sinistra, per di più contrarie agli interessi dei lavoratori, di aver ignorato il grido di dolore dei poveri e degli afflitti, di essere stato contaminato da deviazioni ordoliberiste, di non aver sradicato il precariato e di aver redatto manifesti buoni solo per incartare il pesce. Quando sono gli stessi candidati alla segreteria ad ammettere che quel partito è da buttare per quale ragione gli elettori dovrebbero votarlo?
Giuliano Cazzola

 

Non esagererei, caro Cazzola. La morte del Pd, come hanno dimostrato le regionali e come dimostrano i circa 40 mila amministratori locali democratici, è ancora una notizia ampiamente esagerata. Il tema, per il Pd, non è legato alla sua esistenza. Il tema, semmai, è legato a ciò che può fare un partito per smetterla di parlare di ciò che non deve essere e per iniziare a parlare di ciò che deve cominciare a fare.

 


 

Al direttore - Leggo che la Lega ha deciso di passare all’incasso, non si sa bene di cosa, lanciando messaggi obliqui a Giorgia Meloni, nel giorno del suo viaggio a Kyiv. Mi ha stupito in questo senso il messaggio inviato lunedì. Le leggo un’agenzia: “L’Italia deve mostrarsi all’altezza delle sfide più delicate, a partire dalla politica energetica su cui il governo è particolarmente attento. E’ bene sottolineare  che anche le grandi aziende di stato come Eni ed Enel devono cambiare profondamente le loro politiche e il loro approccio alla modernità. Serve un cambio di passo”. Così, in una nota, “fonti qualificate della Lega”. Andrà così?
Lucia Martoni

Ho l’impressione che le nomine di fine marzo, da Eni a Enel passando per Poste e Leonardo, mostreranno un piglio draghiano di Meloni e anche un’attenzione da parte della premier a un elemento non secondario che coinvolge ormai da anni le nomine delle partecipate: la valutazione dei risultati di una società e la consapevolezza di che cosa significhi cambiare laddove i risultati invece indicano la necessità di continuare sulla stessa strada di questi anni. E proprio perché Meloni potrebbe imboccare, su molte partite, non tutte, la strada della continuità, la Lega ieri, inviando questo messaggio, sembra aver voluto mettere le cose in chiaro: cara Giorgia, le eventuali nomine in continuità te le attribuisci tu, e saranno in quota Fratelli d’Italia, per le nomine in discontinuità poi ti faremo avere presto la nostra lista di nomi. Mercato aperto, sperando che i mercati capiscano.