Foto di Filippo Attili, Palazzo Chigi, via LaPresse 

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Il rapporto Roma-Parigi sarà cruciale per capire che Europa ci attende

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Opportuna e con risultati – è da credere – interessanti l’iniziativa di pubblicare articoli di “artificiale intelligenza” celati tra quelli “umani”. Però tardiva: già tanti altri giornali prima di voi pubblicano articoli “artificiali”. Vero è che il Foglio nobilita la cosa con quell’intelligenza di cui gli altri fanno grande economia.
Valter Vecellio

 

“La differenza essenziale tra l’età dell’Illuminismo e l’età dell’Intelligenza artificiale non è tecnologica ma è cognitiva. Dopo l’Illuminismo, la filosofia ha accompagnato la scienza. Allo stesso modo, l’Intelligenza artificiale generativa è pronta a generare una nuova forma di coscienza umana. Finora, tuttavia, l’opportunità esiste in colori per i quali non abbiamo spettro e in direzioni per le quali non abbiamo bussola. Nessuna leadership politica o filosofica si è formata per spiegare e guidare questa nuova relazione tra uomo e macchina, lasciando la società relativamente senza ormeggi. (…) L’IA generativa modificherà molti campi dell’attività umana, ad esempio l’istruzione e la biologia. Diversi modelli varieranno nei loro punti di forza e di debolezza. Le loro capacità, dallo scrivere barzellette e disegnare dipinti alla progettazione di anticorpi, probabilmente continueranno a sorprenderci. Proprio come il grande modello linguistico ha sviluppato un modello di linguaggio umano più ricco di quanto previsto dai suoi creatori, è probabile che le IA generative in molti campi apprendano più di quanto implicano i compiti loro assegnati”. (Virgolettato tratto da un formidabile articolo scritto da Henry Kissinger, Eric Schmidt e Daniel Huttenlocher sul Wall Street Journal di sabato scorso).


 

Al direttore - Leggo sempre il Foglio del sabato. Ho letto adesso il fantastico pezzo sul Superbonus di Michele Masneri e Andrea Minuz. Non sapendo come congratularmi con loro,  scrivo a lei. Un articolo divertentissimo, ironico e graffiante. Complimenti agli autori.
Alessandra Vianelli


 

Al direttore - Qualcuno avvisi Elly Schlein che l’anagramma di “scafista” è “fascista” così potrà nei prossimi quattro anni e mezzo riempire le piazze più agevolmente.
Alessandro Rigoli


 

Al direttore - Egr. dottor Mattioli, in merito alle Sue affermazioni relative alle dimissioni del Sovrintendente Pereira, ci corre l’obbligo di doverne confutare quantomeno una, tralasciando volutamente i Suoi giudizi sugli abitanti di Firenze e sul Maggio stesso, di cui forse sarà chiamato a rispondere nelle sedi opportune. In particolare Lei dovrebbe sapere, viste le Sue note qualifiche di scrittore nonché conoscitore di opere liriche, come il Teatro dell’Opera di Roma Capitale abbia da sempre costituito un’eccellenza  nel panorama Lirico per cui la Sua affermazione, che cito testualmente: “Per inciso, Fuortes è riuscito a trasformare in un teatro vero perfino l’Opera di Roma, quindi i titoli per andare al Maggio li avrebbe tutti. Però è una “piazza” tossica quindi: Carlo, non farlo!”, è totalmente lontana dalla realtà dei fatti visto il livello degli Artisti e delle Produzioni che da sempre hanno dato lustro al palcoscenico del glorioso Costanzi.

Atteso ciò la sua frase getta discredito in maniera equanime tra chi ha lavorato nel corso dei secoli a P.zza Beniamino Gigli 7 e chi ci lavora attualmente, avendo dovuto subire in 8 anni di gestione  violazioni di ogni genere, rese possibili da alcuni politici sia nazionali che locali nonché da diversi giornalisti allineati al potente di turno. Le citiamo ad esempi non esaustivi, il licenziamento di 34 tersicorei ad aprile 2014, la procedura di licenziamento collettivo (L. 223/91) di coro e orchestra ad ottobre 2014, peraltro palesemente illegittima a norma della stessa legge di cui sopra e che fu ritirata solo dopo un accordo capestro per tutti i lavoratori. La invitiamo a trovare il tempo e la pazienza di leggere bilanci e leggi di settore (ad esempio la 112/13), magari facendosi supportare da persone competenti oppure di informarsi dettagliatamente circa le “gesta” da commissario straordinario al Petruzzelli piuttosto che come ad del Parco della Musica o presso la Fondazione Arena di Verona che Le faranno modificare sostanzialmente il giudizio entusiastico sull’operato del Suo “amico Carlo”, da Lei espresso. A tal proposito restiamo a Sua disposizione per un serio ed esaustivo approfondimento. Tanto ci era dovuto.
La Rsu del Teatro dell’Opera di Roma Capitale

 

Risponde Alberto Mattioli. La Rsu dell’Opera di Roma non si è ancora ripresa dalla sconfitta nella vertenza del 2014, dopo che Riccardo Muti aveva lasciato il glorioso teatro per “la tristezza e la delusione”. News dal neolitico a parte, i successi artistici della gestione Fuortes sono sotto gli occhi di tutti.


 

Al direttore - Deve fare riflettere il sarcastico commento contenuto nel Foglio dell’8 marzo a proposito del  programmato sdoppiamento della direzione generale del Tesoro in due dipartimenti. Vi sono le questioni procedimentali a cui si fa riferimento nell’articolo – e a questo riguardo ragioni quantomeno di alta opportunità militano perché, anche se la riforma viene varata con un Dpcm, ne venga comunque data un’informativa specifica al Parlamento, dato il  suo rilievo – ma anche questioni di pura competenza in materia organizzativa che riguardano le relazioni e le integrazioni tra i due dipartimenti. Occorrerebbe paradossalmente un livello superiore per il necessario coordinamento, ipotesi chiaramente impraticabile. Ma soprattutto la prima “regola” che bisognerebbe osservare – applicata da chiunque si occupi di revisioni organizzative – è che le strutture non vanno disegnate in funzione di specifiche persone che ad esse si intende preporre o invogliare ad assumerne la titolarità, come sembrerebbe nel caso in questione, ma per il loro previsto funzionamento, per la rispondenza ai canoni fissati dalla Costituzione, per gli uffici pubblici, del buon andamento e dell’imparzialità, con tutto quello che ne discende. Si potrebbe dire che questa riorganizzazione, esaminata a se stante, supera la prova di validità?  
Angelo De Mattia


 

Al direttore - Sul Foglio di ieri Paolo Cirino Pomicino ci propone (e propone come monito alla presidente Meloni) un’ennesima variante della teoria del complotto per mettere le mani sulle “eccellenze italiane” con la complicità dei governi succedutisi in Italia dal 1994 (leggi Prodi-Ciampi). Essa include un accordo “non scritto” franco tedesco in base al quale Berlino avrebbe esercitato la sua influenza sui Balcani fino alla Grecia (sic!) mentre a Parigi sarebbe andata l’Italia, come proverebbero le numerose acquisizioni degli ultimi anni. Non varrebbe neppure la pena parlarne se non fosse che Pomicino invita Meloni a prendere coscienza dell’accordo “non scritto” evitando i beau geste  e comportandosi da statista. Come dire quelli del ’94 hanno fatto la frittata adesso occorre recuperare con pazienza la credibilità perduta. Ora Pomicino dovrebbe sapere perché era ministro del Bilancio dell’ultimo governo Andreotti che le privatizzazioni non furono una scelta ma un atto dovuto dato che l’industria pubblica era strafallita a causa del controllo politico cui era soggetta. Ci auguriamo che Meloni prenda con le molle gli accordi “non scritti”.
Marco Cecchini

 

Il complottismo non mi piace (ed è vero che ciò che l’Italia fa con la Francia fa notizia solo quando è la Francia a fare qualcosa in Italia e non quando l’Italia, come spesso succede, fa qualcosa in Francia, a livello industriale). Ma le riflessioni di Pomicino meritano più di un’alzata di spalle e il rapporto tra Francia e Italia, nella stagione meloniana, sarà cruciale per capire che Italia e che Europa ci saranno nei prossimi anni. Ci torneremo.

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