Lettere
Su ChatGPT l'Italia si schiera con le dittature illiberali
Le lettere al direttore del 5 aprile 2023
Al direttore - La donna che ha detto “ho visto Donald Trump nudo, non può più farmi paura” non è una pornostar, è un genio comico.
Michele Magno
Al direttore - Abbiamo paura delle macchine da quando abbiamo iniziato a costruirne. Temiamo l’innovazione, e tuttavia non riusciamo a farne a meno. Vale per la ruota, il fuoco – pensate a quanto doveva spaventarci il fuoco, ci fa paura ancora oggi –, i telai meccanici e oggi l’intelligenza artificiale. Siamo scimmie vestite che hanno paura di ciò che indossano, perché temono di trasformarsi nel vestito. Lo spauracchio verso l’IA è solo la versione riveduta e corretta di quello che all’inizio del XIX secolo si chiamava luddismo, e il fatto che gli ultramiliardari firmino manifesti per invitare alla prudenza contro le macchine cosiddette intelligenti non è diverso da quando i Tudor inglesi vietavano le macchine per stampare fibbie. La paura è un sentimento democratico e trasversale. Esattamente come il coraggio. Il punto però non è qui temere le macchine perché ci rubano il lavoro. Ciò che è davvero importante, è capire che se temiamo che un computer, efficiente frullatore di idee e fatti noti, scriva meglio di noi un articolo, una poesia, una musica o quello che volete voi, significa che abbiamo paura di non aver più nient’altro da dire. Nulla da aggiungere a ciò che è stato scritto, suonato, dipinto e, in sostanza, immaginato. Ma in questo caso i bot saremmo noi. E’ di questo che abbiamo paura.
Maurizio Sgroi
A proposito di paura. L’Italia, che grazie al Garante per la privacy ha interrotto a tempo indeterminato i servizi di ChatGPT, è nella classifica dei paesi che non consentono l’utilizzo di questa forma di intelligenza artificiale in ottima compagnia. Con Cina, Russia, Corea del nord, Venezuela, Iran. L’Italia non è una dittatura, ovviamente, ma il fatto che un Garante per la privacy, in un paese democratico, arrivi alle stesse conclusioni dei regimi illiberali dovrebbe fare riflettere sulle capacità che ha un paese di governare le innovazioni con una leva diversa rispetto alla politica delle punizioni.
Al direttore - Quanto meno va dato atto a chi scrive di avere fornito, in tempo non sospetto, proprio sul vostro giornale, una chiara narrazione su ciò che poi si è verificato, cioè sul fallimento di un atto pianificatorio che, sin dall’inizio, non ha rispettato due condizioni che aveva posto l’Unione europea. Le condizioni erano chiare: una piena organicità delle proposte, non segmenti di opere ma progetti completi; una governance unica in grado di monitorare in modo sistematico l’intero processo. Queste condizioni, tra l’altro, furono esposte in modo davvero encomiabile, dal commissario agli Affari economici dell’Unione europea Paolo Gentiloni in un incontro formale con le commissioni competenti del Parlamento italiano nell’autunno del 2020. Invece, queste raccomandazioni noi le abbiamo completamente disattese. Nacquero così sei o, addirittura, sette distinte governance e la organicità fu completamente disattesa. In proposito ricordo solo alcuni esempi: per l’Alta velocità ferroviaria Salerno-Reggio Calabria nel Pnrr fu inserita una disponibilità di 1.800 milioni di euro (a tale valore si aggiunsero dopo 9.400 milioni di euro attraverso il Piano nazionale complementare). Cioè si cercò di assicurare un primo lotto di un’opera che supera abbondantemente i 24 miliardi di euro; per l’Alta velocità ferroviaria Roma-Pescara fu inserito un primo lotto di 620 milioni di euro; una disponibilità limitata in quanto l’opera globale supera abbondantemente i 5 miliardi di euro; per il collegamento ferroviario Orte-Falconara fu inserita una quota parziale per 509 milioni di euro. Queste indicazioni, questi inserimenti erano, tra l’altro, non supportati da progetti e quindi in origine si partiva da proposte che difficilmente avrebbero rispettato la scadenza del 31 dicembre del 2026. Però dal giugno del 2020, mese in cui l’ex premier Conte tornò da Bruxelles rilasciando comunicati stampa ottimistici, a questi comunicati fecero seguito nel tempo gli annunci degli ex ministri delle Infrastrutture e dei Trasporti Paola De Micheli prima ed Enrico Giovannini dopo, tutti pieni di rassicurazioni e di anticipazioni sull’apertura dei cantieri, sull’avanzamento concreto della spesa. Purtroppo dopo quasi tre anni si è speso forse meno del 10 per cento e, nel caso delle infrastrutture, la spesa è stata relativa a opere già definite dalla legge obiettivo (del dicembre 2001). Bisogna riconoscere al ministro Fitto il tentativo di reinventare un atto pianificatorio che, almeno per quanto concerne la capacità realizzativa delle scelte, si avviava verso un irreversibile fallimento. Fitto, in realtà, ha cercato di seguire le indicazioni iniziali dell’Unione europea ricorrendo a una governance unica e rileggendo, in modo organico, le proposte. In questa rilettura, Fitto ha giustamente affrontato tutte le proposte che erano allocate o si stavano allocando su altri piani, come il Piano nazionale complementare, i piani supportati dai fondi di sviluppo e coesione e quelli in corso di definizione da inserire nel RePowerEu. Questo non facile lavoro è essenzialmente mirato a inserire delle opere del Pnrr in piani che hanno una scadenza non nel 2026 ma nel 2029 e, soprattutto, a reinventare, in modo organico, un piano nato come sommatoria di tessere esterne a un mosaico.
Ercole Incalza
Al direttore - Il suo suggerimento all’on. Meloni di nominare immediatamente un commissario straordinario al Pnrr – un nuovo generale Figliuolo dei tempi del Covid – non è affatto paradossale, come qualcuno potrebbe pensare. E’ una proposta che il governo dovrebbe prendere seriamente in considerazione per salvare il salvabile di un grande progetto impostato male fin dall’inizio e che rischia di andare verso il fallimento. Come è noto, l’ottenimento dei fondi del Next Generation Eu dipende da un lato dall’adozione di una serie di provvedimenti di riforma di settori importanti della vita italiana, dalla concorrenza al sistema fiscale, dall’altro dalla capacità di predisporre e realizzare entro la fine di 1.926 progetti di investimento per oltre 200 miliardi di euro. Il governo affronta una prima serie di difficoltà sul terreno delle riforme che il governo Draghi aveva portato avanti efficacemente, ma che si scontrano con le posizioni politiche dell’attuale maggioranza fino a rischiare che la Commissione sospenda il trasferimento dei fondi per questo motivo. Ma l’altro problema, la spesa dei fondi, presenta difficoltà forse ancora maggiori. Perché qui l’errore è stato commesso all’inizio. In realtà la strada del commissario andava adottata subito. Questa fu la proposta che elaborammo nella Fondazione Ugo La Malfa e sottoponemmo al governo del tempo e alle forze politiche. Noi sostenevamo che era indispensabile affidare la realizzazione del piano a un ente appositamente creato che avesse il compito di elaborare i progetti di impiego delle risorse, di valutare gli eventuali progetti elaborati da enti pubblici e privati a valere sulle risorse del Pnrr e di curare la realizzazione delle opere sulla base di una normativa apposita che lo sottraesse alle procedure ordinarie della Pubblica amministrazione. La nostra proposta non trovò alcuna udienza né nella maggioranza, né presso le forze politiche di opposizione che oggi sono al governo. La decisione del governo Conte dell’agosto del 2020 di sollecitare le amministrazioni centrali e periferiche a presentare i loro progetti e di prevedere soltanto una cabina di regia centrale venne adottata con il consenso di tutti. E sta avendo gli effetti largamente previsti: i progetti sono privi di una logica comune; non rispondono a un disegno organico di trasformazione dell’economia italiana, alcuni sono stati presentati in tempo, molti in ritardo. La capacità di spesa è minima. Tutto questo è ormai documentato dalla relazione della Corte dei Conti che lei ha giustamente citato. Dunque il disastro è stato preparato con cura ed è difficile evitare che una parte importante dei fondi non sia spesa in tempo. Solo una decisione straordinaria di commissariare il progetto potrebbe consentire di riprendere in mano le cose a partire da oggi. Ma, se vuole la mia impressione, il governo non lo farà, nonostante il precedente della creazione dell’Iri nel 1933 che potrebbe risvegliare antiche memorie. Non lo farà perché avrebbe la rivolta dei “suoi” ministri che si vedrebbero sottratta la realizzazione degli investimenti delle loro amministrazioni e quella delle articolazioni periferiche, delle regioni e dei comuni che protesterebbero ugualmente, pur non essendo in grado di fare quello che chiedono insistentemente di fare. L’on. Meloni potrebbe dimostrare di avere una tempra politica solida facendo quello che lei suggerisce. Staremo a vedere.
Giorgio La Malfa