Piercamillo Davigo (Ansa)

Lettere

No all'immobilismo come unica forma di legalità consentita

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Piercamillo Davigo, indomito difensore della fede giustizialista, è tornato a ribadire in tv la sua idea dello stato di diritto. Secondo l’ex pm, un ufficiale di polizia giudiziaria dovrebbe recarsi, sotto copertura, nel luogo in cui si assegna un appalto. E senza perdere tempo dovrebbe arrestare l’imprenditore risultato vincitore. Non crede, caro Cerasa, che questa mentalità, purtroppo diffusa nelle procure, contribuisca in modo significativo alla difficoltà di “mettere a terra” il Pnrr? Con tanti cordiali auguri.
Giuliano Cazzola

Fino a quando il nostro paese non si impegnerà al massimo per evitare di fare dell’immobilismo l’unica forma di legalità consentita, continueremo a essere una repubblica inefficiente, lenta, flemmatica, di colpevoli non ancora scoperti, fondata più sul lavoro delle procure che sul lavoro degli italiani. 



Al direttore - Forse chi ha la mia non più verde età ricorda un bel film di Nanni Loy, “Mi manda Picone” (1982). Racconta la frenetica ma vana ricerca di un operaio delle acciaierie di Bagnoli, scomparso in ambulanza dopo essersi dato fuoco davanti al Consiglio comunale. Lo spettatore scopre lentamente, attraverso un viaggio tra i misteri di una Napoli che è la trasparente metafora dei vizi nazionali, che quell’operaio faceva mille mestieri diversi e aveva molte vite differenti. In altre parole, la sua identità sociale non era chiaramente definita, ma era ambigua e sfuggente, quasi inafferrabile. La sensibilità artistica del regista aveva colto acutamente la mutata percezione del lavoro di fabbrica, ormai vissuto come un ripiego e non più come motivo di orgoglio. Dopo un decennio di lotte straordinarie che ne avevano celebrato la centralità, la classe operaia sembrava sulla via del tramonto, come già era stato intuito dai vignettisti di Cipputi, la tuta blu sfidata dalla modernità, e di Gasparazzo, il proletario disincantato e scansafatiche. Quarant’anni dopo, i sette milioni di dipendenti con qualifiche operaie continuano a essere considerati figli di un Dio minore dalla sinistra politica italiana. Ricevono meno attenzione di quei giovanotti fanatici che si divertono a imbrattare la “Barcaccia” di Bernini o le tele di Van Gogh. Eppure non dovrebbe essere difficile capirlo: senza riconquistare il voto (in larga misura e non da ora perduto) di chi sgobba nelle attività manifatturiere non si va da nessuna parte. 
Michele Magno


Al direttore - Il fatto che anche dal mondo bancario viene l’evidenziazione delle conseguenze non positive di una linea rigoristica di politica monetaria per i problemi che ne derivano in materia di rischio di credito, sofferenze e crediti deteriorati in genere – si vedano gli interventi dell’Abi di Antonio Patuelli – dovrebbe fare riflettere anche a Francoforte. In effetti, i vantaggi che possono derivare alle banche in termini di redditività dall’innalzamento dei tassi ufficiali sono più che bilanciati dagli impatti anzi detti, dalla minusvalutazione dei titoli, dal conseguente impegno a rafforzare il patrimonio. E ciò senza considerare gli impatti possibili sulla stabilità finanziaria e sul sostegno di imprese e famiglie. E’ sperabile che nella seduta di maggio del direttivo della Bce prevalga finalmente la linea  ragionevole, calibrata di esponenti quali, innanzitutto, Panetta, ma anche Visco. Diversamente, i danni non sono immaginari, tutt’altro. Con i migliori saluti. Auguri sentiti di buona Pasqua. 
Angelo De Mattia

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