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La destra e l'antifascismo: esami del sangue no, più chiarezza sì
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Anche quest’anno sono sopravvissuto ai parapapunzi-punzi-pu della retorica resistenziale (che ignora le forze alleate), la quale ha due sole fisime: la prima è il voler far pronunciare la parola “antifascismo” a persone che hanno una mentalità più ampia, intelligente e colta, perché intendono opporsi a “ogni totalitarismo”. Certo, è vero che in Italia abbiamo avuto il fascismo, ma non possiamo essere così provinciali e miopi da ignorare che il comunismo ha generato nel mondo quasi cento milioni di morti, oltre a gulag, razzismi e mancanze di libertà. Ma ciò non fa piacere ai figli e nipotini di quel regime dalla falce e martello (che, mi scusi, andrebbe finalmente messo al bando) dei quali casa nostra ancora abbonda. L’altra fisima, va da sé della sinistra, è costituita da odio, risentimento, invidia, rancore, albagia, rodimento (trovi lei altri sinonimi…) verso un governo per il quale hanno perso il treno. Hanno quindi fallito la possibilità di mandare alla totale rovina quel poco di buono che ancora esiste in questa Italia. Sa perché? Perché sotto l’antifascismo, niente. Sono nudi. Ormai, visto che la classe operaia è in paradiso, hanno soltanto slogan e nulla più.
Daniele Carozzi
Gli slogan sono molti, ha ragione, e chiedere continuamente l’esame del sangue a ogni esponente del centrodestra sfiora il ridicolo, a meno che non si voglia affermare che l’Italia ha un governo guidato da fascisti. Eppure, una frase come quella pronunciata a Cuneo da Sergio Mattarella, la Repubblica italiana è “fondata sulla Costituzione ed è figlia della lotta antifascista”, è una frase che ogni esponente di centrodestra, desideroso di “combattere ogni totalitarismo”, dovrebbe provare a far sua senza se e senza ma, come ha fatto bene, per esempio, il governatore del Piemonte, Alberto Cirio. Esami del sangue no, ancora più chiarezza sì.
Al direttore - Però in certi ambienti – televisivi, intellettuali, giornalistici, accademici, giudiziari, sindacali, politici – la sostituzione etnica potrebbe avere i suoi lati positivi.
Michele Magno
Al direttore - Vorrei complimentarmi con il Foglio per la consueta intelligente attenzione al tema di Israele e per lo straordinario approccio dell’articolo di David Parenzo che ne offre un’ottima metafora descrivendo il paese come un cocktail. Un cocktail che assaggiato per davvero si mostra come straordinariamente resiliente. Una democrazia così forte da riuscire, con la volontà popolare, a ristabilire gli equilibri tra i suoi ingredienti messi a rischio dal prevalere di alcuni di essi. Grazie Parenzo. Spero che il tuo articolo venga letto e diffuso fra i tanti che in Italia non capiscono che prima di giudicare un cocktail questo vada assaggiato.
Andrea Jarach
Al direttore - Il governo ha deciso di chiamare il nuovo disegno di legge contenente deleghe per il sostegno alla famiglia Family Act. Sostituzione linguistica? Oh yes.
Marco Cecchini
Al direttore - Riformare la giustizia non è un tabù ma certamente, nel paese in cui ne è stato fatto un uso politico così penetrante da diventare essa stessa la caratterizzazione principale di partiti di governo, è forse il terreno più impervio che ci sia. Proprio per questo dalla nascita di questo governo ho sempre pensato che il ministro con il compito più complesso sia Carlo Nordio. Un compito difficilissimo nelle mani di un uomo libero e indipendente da tutti. Questa legislatura può davvero essere l’occasione per una svolta profonda in senso garantista. L’obiettivo è ancora a portata di mano ma il ritardo con cui parte la sua iniziativa di riforma può essere letto, accanto alla necessità di elaborare in modo adeguato una riforma così complessa, anche come una difficoltà nell’imporre come prioritario il tema della giustizia nell’agenda di governo. Si parla spesso del giustizialismo di certa sinistra, reale e inaccettabile. Eppure si dimentica che esiste anche una cultura profondamente giustizialista in una certa destra. La via d’uscita, complessa ma concreta e realizzabile: costruire una maggioranza garantista trasversale che approvi la riforma Nordio. Si gioca tutta su questo terreno la sfida più rischiosa ma anche più avvincente dei riformisti. Sconfiggere il giustizialismo trasversale, far vincere il garantismo trasversale. Italia viva sarà in prima linea in questo: ci impegneremo a essere la forza cerniera di una nuova visione del paese, che consentirà di cambiare radicalmente la giustizia, per i cittadini ma anche per i tanti magistrati che ogni giorno perseguono ideali di giustizia, lontani da correnti e politicizzazione. Lancio quindi dalle colonne del Foglio un appello a tutte le forze politiche a uscire dagli steccati dei loro confini di appartenenza per cogliere assieme questa grande opportunità di una riforma che chiuda una stagione di scontri e apra una stagione di ritrovato dialogo istituzionale. Più ampia sarà la maggioranza trasversale che sosterrà un nuovo modello di giustizia, più forte sarà il paese. E potremo finalmente mettere la parola fine a questa guerra che da 30 anni insanguina il paese.
Raffaella Paita, presidente del gruppo Azione-Italia viva in Senato