Lettere
Il guaio dell'occidente è smettere di esportare la libertà, non averci provato
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Sono ovviamente onorato di aver ricevuto l’attenzione del Tuo quotidiano per ben due volte in pochi giorni, in merito al mio lavoro e alla mia presenza come ospite (a titolo gratuito, tanto perché si sappia) nei programmi della Rai. Ma ci tengo a dirti che, riguardo al lavoro, non conduco programmi su Radio Rai dal lontanissimo 1987 (36 anni, dunque), e che se sono apparso spesso, questo è vero, in tempi recenti come ospite in diverse trasmissioni (anche Mediaset, anche Tv 2000…) è perché ho scritto un libro su Lucio Battisti che è stato, peraltro, ampiamente lodato da Giampiero Mughini sulle pagine del Tuo giornale. Do quindi per scontato che i tuoi redattori non ascoltino la radio, ma suppongo che non leggano nemmeno Mughini. Vero è che collaboro ancora con Gedi, ma mi sono dimesso da Repubblica due anni fa. Sperando in ulteriori citazioni sul Foglio ti ringrazio per avermi concesso questa precisazione.
Ernesto Assante
Ascoltiamo tutti la radio, leggiamo tutti Mughini, amiamo tutti Assante e prendiamo atto che in natura esiste un caso raro di bravo giornalista del gruppo Gedi che sequestra pacificamente i palinsesti della Rai senza chiedere il riscatto e che immaginiamo abbia fatto volontariato quando è stato selezionato pochi mesi fa come autore del programma “Ci vuole un Fiore” (Rai 1). Ops. E grazie.
Al direttore - L’integrazione economica, ormai lo sostengono tutti, non ha avuto come ricaduta la trasformazione dei paesi culturalmente lontani dall’occidente in nazioni più pacifiche e “liberali”. Ma siamo certi che si sia trattato di un fallimento o semplicemente abbiamo preteso che accadesse troppo in fretta? Forse occorre avere pazienza, “resistere” ancora qualche decennio e lasciare che la voglia di libertà di quei popoli cresca, senza, dunque, rinunciare alla globalizzazione. La democrazia liberale altrove ha attecchito dopo secoli, pretendere che si manifesti “all’improvviso” là dove è strenuamente combattuta è forse un errore.
Luca Rocca
L’errore, caro Rocca, mi sembra non rendersi conto di un altro fatto: il guaio dell’occidente, quando tenta di esportare alcune sue libertà, è smettere di farlo, non aver provato a farlo.
Al direttore - Nel turbinio giocoso e martellante di nomi e nomine governative, è d’incanto l’isola di Alfonso Berardinelli intitolata a Mario Praz. Isola-universo. Però, forse, “il” Praz – così si pronunciava un tempo nelle aule universitarie: anche se un altro gigante, il Raimondi, esitava a dirne con noi in classe il nome, per la ben nota questione iettatoria – può convivere più che serenamente, oramai, con il Contini. Prokosch, andandolo a trovare nella Casa della Vita, si munì di un amuleto, racconta in “Voci”. E Praz, sornione, l’aveva intuito. Ma quanto al rifiuto di farsi chiamare professore, “noiosa qualifica”, ricorda Berardinelli, si trattava forse di elegante snobismo. Sempre Prokosch, in una cena presso la principessa Caetani, lo ritrovò insieme con T. S. Eliot ed Emilio Cecchi (che tempi! – a proposito di nomi e nomine). Ma l’unico a essere chiamato professore è proprio lui. “The great Professor Praz”.
Luca Rigoni
Al direttore - Il Foglio a San Siro è una bella cosa. E non solo perché è pieno di contenuti interessanti. Non tanto perché ha relatori credibili. Lo è perché racconta lo sport anche da altri punti di vista. Lo è perché ci fa conoscere storie e punti di osservazione diversi. Ma lo è, specialmente, perché riconsegna a noi sportivi (ma sarebbe bello se fosse un messaggio per l’intero paese) due parole che, credo, renderebbero il paese migliore: ascolto e approfondimento. Ecco, essersi riappropriati del tempo per ascoltare e approfondire ha un non so che di rivoluzionario, di coinvolgente, di coraggioso. Oggi dal mondo dello sport parte un nuovo messaggio, che riguarda non solo il nostro mondo, ma tutti. Grazie al Foglio!
Fabio Pagliara