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Su Tim e Kkr il silenzio del Parlamento non è una cattiva notizia

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - E’ incomprensibile come la proposta di aumentare le tasse non sia stata premiata.
Jori Diego Cherubini


 

Al direttore - Decisivo il contributo di Elly Schlein alla vittoria di Vicenza. La segretaria del Pd ha seguito il consiglio di non presentarsi per la campagna elettorale del ballottaggio. Così ha potuto recarsi due volte ad Ancona.
Giuliano Cazzola


 

Al direttore - Spesso nella vita, e particolarmente in politica e in economia, il passato ritorna con i suoi fantasmi e le sue paure e preoccupazioni. E’ il caso delle telecomunicazioni italiane svendute tra il 1997 e il 1998 a poco più di 10 mila euro ad azione con grande entusiasmo del mercato (all’epoca era un affare) e oggi in via di riacquisizione pubblica. La somma degli errori è stata ed è impressionante. Già 5 mesi dopo la svendita della Telecom-Tim da parte del governo Prodi fu autorizzata dallo stesso governo la costituzione di una nuova telefonia mobile, la Wind, con la partecipazione anche di France e Deutsche Telekom. Una cosa incomprensibile e mal gestita tanto che rapidamente francesi e tedeschi abbandonarono la partita immaginando di aggredire il mercato italiano con altre società (vedi Vodafone, la cui nascita è un altro romanzo). La Wind in capo a pochi anni fu venduta all’imprenditore egiziano Naguib Sawiris con una perdita secca per la finanza pubblica di oltre 5 miliardi di vecchie lire. Nel terzo millennio, scomparsi gli autori di questo misfatto, peraltro premiati con altri incarichi di maggiore levatura, si cominciò a capire che eravamo l’unica grande democrazia europea priva di una presenza pubblica nel settore strategico delle telecomunicazioni e così fu partorita una nuova società, Open Fiber, la cui missione era di attrezzare con la fibra veloce i territori “bianchi e grigi”, quelli cioè a fallimento di mercato che naturalmente poco importavano alla Telecom privatizzata dai famosi capitani coraggiosi. Intanto, dopo i tanti passaggi di mano italiani serviti forse solo a pratiche opache (e siamo garbati) la Tim-Telecom è finita nelle mani, tanto per non cambiare, degli amici francesi. Il governo italiano, forse pentito di quel che fu fatto negli anni Novanta, accanto al parto di Open Fiber ritornò con il 10 per cento circa nell’azionariato della Tim-Telecom e nel 2017 notificò alla società l’applicazione alla stessa dei vincoli del golden power. Nel tempo la società telefonica, una volta italiana, lentamente cominciò ad affannare e dopo i tentativi del suo azionista di maggioranza relativa di aggredire Mediaset, cominciarono ad affacciarsi gli americani di Kkr che con grande rapidità entrarono prima in FiberCop, il braccio operativo della Tim per la posa della fibra veloce essenziale per digitalizzare il paese e oggi è in corsa per l’acquisto della rete Tim che dovrebbe essere scorporata dai servizi. Gli americani sono in concorrenza con la Cassa depositi e prestiti a botta di offerte miliardarie ma, se dobbiamo essere sinceri, non vediamo nella Cassa e nel governo quella determinazione che da sola farebbe capire agli americani che questa volta non c’è trippa per gatti. Oltretutto l’attuale governo ha notificato a Kkr l’applicazione dei poteri previsti per il golden power in ordine al suo ingresso nella società Inwit proprietaria delle torri per le telecomunicazioni. Vedremo la fine di questa disfida tra la Cassa e Kkr tra non molto ed è qui che tornano i fantasmi del passato. Nel gruppo politico-tecnico alla fine degli anni Novanta accanto a Romano Prodi c’era Mario Draghi e tra i giovani Dario Scannapieco oggi alla guida della Cassa depositi e prestiti. Un gruppo di alta professionalità e di grande intelligenza che assunse anche alcune responsabilità nella vendita della Seat pagine gialle che fu il più grande scandalo dell’Italia unitaria che dette a un gruppo finanziario di otto società tra cui, in piccola parte, il Tesoro una plusvalenza in 30 mesi di oltre 7 miliardi di euro, all’epoca 14 mila miliardi di vecchie lire con partecipazioni anche di società collocate nei paradisi fiscali. Dinanzi a “tanto nomini nullum par elogium” (per questi nomi nessun elogio è adeguato) ci sovviene dalla cultura cattolica un vecchio epitaffio sulla tomba di un cardinale: “Qui giace un cardinale che fece bene e fece male, il mal lo fece bene e il bene lo fece male”. Che Dio protegga l’Italia nel silenzio del nostro Parlamento.
Paolo Cirino Pomicino

Sbaglierò, caro Pomicino, ma il silenzio del nostro Parlamento, su Tim, mi sembra l’unica cosa saggia che la politica possa fare su questo fronte. Disinteressarsi no, per carità, ma tifare affinché il governo trovi un modo per far sì che un fondo americano carico di denari (Kkr) acquisisca un’azienda tecnicamente fallita (Tim) mi sembra l’unico atteggiamento possibile per evitare che i guai di un’azienda privatizzata male (Tim) vadano a finire ancora una volta sulle spalle dei contribuenti, come è stato per molti anni con Alitalia. Viva i privati.
 

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