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L'omicidio del piccolo Manuel e qualche riflessione su social e cannabis
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Il caso dei quattro famosi youtuber a bordo della Lamborghini che si sono schiantati a Roma contro la Smart su cui viaggiava Manuel, il bambino di 5 anni morto nell’incidente sotto gli occhi di sua madre e della sorellina di 3 anni, ci dovrebbe far riflettere su un fatto preciso. Il problema è questo. Il problema è avere undici milioni di ragazzi su TikTok tra gli undici, dodici, tredici anni, che percepiscono ciò che vedono come la normalità perché ci passano 5 ore e 30 di media ed entrano sui social a 11 anni. E’ già illegale, ma nessuno fa niente. Quando tu vedi uno di questi video, continuano a proportene altri analoghi. E’ questo il problema: l’assenza dell’idea che si possa stabilire ciò che è giusto e ciò che è ingiusto. E’ giusto che un undicenne entri oggi su una piattaforma come YouPorn dove c’è qualunque cosa? E’ giusto che un undicenne su TikTok sia esposto a un video dove qualcuno corre con la macchina e poi si va a schiantare, oppure un altro si butta dal palazzo o fa pipì in testa alle persone? E’ giusto? No, non è giusto. Ma nella società liberale non c’è più la divisione fra ciò che è giusto e ciò che è ingiusto. Ciò determina un relativismo culturale e la percezione della libertà illimitata. E questo è ciò che sta distruggendo l’ethos della società occidentale, che non abbiamo più. E’ un liberi tutti. Ma poi non ci stupiamo se ci sono delle conseguenze nella realtà.
Carlo Calenda, leader di Azione
Ragionamento impeccabile. Al quale ne aggiungerei uno ulteriore. Un po’ bacchettone ma forse doveroso. E’ normale che nessuno si indigni per il fatto che lo youtuber alla guida della macchina sia stato trovato positivo ai cannabinoidi? Ed è rassicurante pensare che una condizione del genere potrebbe non essere più illegale? Bacchettone, lo so, ma rifletterci male non fa. Grazie.
Al direttore - Il Parlamento europeo ieri ha chiesto “agli alleati della Nato di onorare il loro impegno nei confronti dell’Ucraina e di spianare la strada all’invito di adesione all’Alleanza atlantica”. Ha invocato “un pacchetto Ue di misure per la ripresa in Ucraina” e ha auspicato che “i negoziati di adesione di Kyiv all’Ue possano iniziare quest’anno”. E il Pd cosa ha fatto? Ha scelto di astenersi in dissenso dal gruppo socialista. Qualche sì in libertà, un no da un parlamentare (Smeriglio). E sentite cosa ha detto il capo delegazione Benifei all’HuffPost: “Favorevoli all’integrazione euro-atlantica dell’Ucraina, sì nel voto finale. Ma sull’adesione alla Nato, inserita probabilmente per insistenza dell’Ecr, abbiamo preferito astenerci”. Mi si sono intrecciati i diti, come direbbe Fantozzi.
Martina Arroni
Ormai sulla politica estera, come ha scritto Luciano Capone sul Foglio, il Pd siccome non riesce a esprimere un’opinione ne esprime tre, sperando magari di convincere più persone. Il problema però è che i fatti restano. E ancora una volta sui temi legati alla difesa dell’Ucraina il Pd sceglie di mostrare il suo nuovo volto: ambiguità-tà-tà. Molto male, cara Schlein.
Al direttore - E’ vero, lo studio si focalizza sul sistema elettrico e non su tutta l’energia. Testa dice che ci siamo dimenticati di dirlo, ma in realtà è l’obiettivo dichiarato dello studio. Il sistema elettrico decarbonizzato, che secondo Testa è marginale, è un impegno dei governi del G7 e quindi merita di essere simulato e poi realizzato con le azioni efficaci meno costose possibili, il che è proprio l’oggetto dello studio. Inoltre, un sistema elettrico decarbonizzato abilita a sua volta la decarbonizzazione dei settori energivori elettrificabili e, grazie all’idrogeno verde, anche di alcuni che oggi non lo sono. Per questo si tratta di un obiettivo decisivo nell’avvicinarci a un’intera economia senza emissioni dannose al clima. Riguardo all’import, proprio per i motivi di cui parla Testa l’abbiamo limitato a 40 TWh/a (non 60). Lo studio evidenzia come una maggiore integrazione dei sistemi elettrici europei aumenterà la concorrenza dei mercati, ma perché questo si avveri è indispensabile che lo sviluppo delle rinnovabili sia competitivo, a cominciare dalle autorizzazioni. Infine, sui costi: senza le fonti fossili, il costo dell’energia dipenderà soprattutto dai costi di capitale, che il nostro studio stima in circa 14 miliardi all’anno per una decina d’anni, che all’anno è quanto sono costate le sole politiche di mitigazione del prezzo del gas all’interno della parte regolata delle bollette elettriche italiane secondo dati Arera.
Michele Governatori responsabile del programma elettricità e gas di ECCO