(foto Ansa)

Lettere

Contro il populismo giudiziario gli antipopulisti battono in ritirata

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Nell’Italia illiberale delle corporazioni finalmente un anticorporativo, Carlo Nordio. “L’interlocutore istituzionale del governo è il Consiglio superiore della magistratura”, ha replicato il ministro della Giustizia al presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia, il quale riteneva ovvio che il sindacato dei magistrati avesse il diritto preventivo di mettere bocca sulla formazione di una legge di giustizia prima ancora che fosse scritta. La pretesa aveva radici profonde: da anni le correnti sindacali dei magistrati hanno posto veti su ciò che poteva o non poteva essere discusso dal Parlamento e dal governo. Questa è stata l’Italia corporativa e consociativa che ha distorto la democrazia liberale e ha messo in mano a un pugno di attivisti il destino delle leggi sulla giustizia così come è accaduto anche in altri comparti. Nordio ha il merito di avere ricordato che “la Costituzione più bella del mondo” è bella soprattutto perché distingue nettamente le istituzioni dello stato di diritto dalle libertà di associazione di qualsiasi gruppo di cittadini, quale che sia il suo ruolo nella vita economica, sociale e amministrativa. Un saluto. 
Massimo Teodori 

Curioso come tutti gli antipopulisti spariscano all’improvviso quando c’è da rimboccarsi le maniche per combattere contro l’unico vero estremismo in servizio permanente effettivo nel nostro paese da ormai molti anni. Quale? Facile: è il populismo giudiziario, bellezza.


Al direttore - “In Italia riformare la giustizia è difficile perché non c’è più la separazione dei poteri. Il governo è diventato legislatore. Il Parlamento è diventato amministratore. I giudici esercitano funzioni amministrative, occupando gli uffici serventi del Csm e del ministero della Giustizia, e la funzione legislativa con la loro presenza nei gabinetti ministeriali”. La riforma Nordio è “un buon inizio, purché si continui. I milioni di cause pendenti mostrano che c’è una domanda di giustizia che non viene soddisfatta. Questo si riflette nella decrescente fiducia, misurata dai sondaggi, della popolazione nella magistratura. Se l’ordine giudiziario non riesce rapidamente a eliminare l’arretrato, rispondendo con sollecitudine alla domanda di coloro che si sono rivolti ai giudici, l’intero corpo della magistratura finirà per perdere completamente la fiducia che la collettività deve avere nella giustizia. Una giustizia che arriva in ritardo non è giustizia. E rischia di non esserlo una giustizia che perde la fiducia dei cittadini” (Sabino Cassese, intervista al Quotidiano nazionale, 17 giugno). Non ho nulla da aggiungere, vostro onore. 
Michele Magno


Al direttore - In vista dell’estate, dei corpi nudi al sole al vento e al mare, dell’attenzione nei confronti della linea e del peso, dei muscoli più o meno definiti, degli addomi scolpiti, delle pance piatte penso sia il caso di avviare una breve, giocosa ma seria discussione sulla correlazione tra peso, politica e felicità. Queste riflessioni vibrano in me osservando Carlo Calenda. La sua perdita di peso è evidente e mi auguro non drammatica, spero sia legata a una sua scelta personale e non a brutti fattori esogeni. Tuttavia, che sia causata da ragioni di salute, da prevenzione o da Renzi che con il suo libero iperattivismo lo sconvolge, la perdita di peso a cui si è sottoposto Calenda sembra andare di pari passo alla sua perdita di peso sulla scena politica. L’uomo è improvvisamente intristito e invecchiato, ma soprattutto privato del suo mordente, dei suoi forti appetiti che lo portavano a sezionare e a provare a divorare l’avversario. E’ asciutto, emaciato, ma sono le sue emozioni ad apparire infiacchite. Non è più pugnace e collerico, non si fa tutto rosso e non si inalbera come fosse dentro a un’osteria (momento che fa parte dell’agone politico). Sussurra invece pensieroso, didattico, sempre reprimendo malinconicamente, con supremo sforzo di volontà, tanto la spinta ad aggredire l’avversario quanto l’appetito verso una montagna di carbonara. Invece di Churchill, con sua volontà di vita, con la sua colazione a base di rognoni e champagne, con il suo volto rubizzo e la vitalità del sigaro che sbuffa come ciminiere produttive da rivoluzione industriale permanente, Calenda sembra divenuto un baby pensionato (orrore!) ingrigito precocemente, giunto alla soglia della seriosità e del buon esempio per mancanza di azioni possibili. Ci auguriamo, per passione politica, che l’uomo ritorni pugnace, che si risvegli dal torpore dietetico e che ritorni ad azzannare la vita (non si può vivere di sola prevenzione tanto in politica quanto a tavola, o si finisce per morirne). 
Michele Silenzi

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