Lettere
Turismo e trasporti pubblici: meno concorrenza non è la soluzione
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Scusi, che è passato il Mes?
Giuseppe De Filippi
Scusi, chi ha fatto Mes?
Al direttore - Ho letto l’articolo di questa mattina “I salari e i cattivi maestri del Turismo” e, come si dice in questi casi, mi corre l’obbligo di fare qualche precisazione. Il turismo va bene, molto bene in questi giorni e questo è un dato di fatto, ma quel +45 per cento di turismo interno e il +70 per cento di turismo internazionale si riferiscono al confronto con lo stesso periodo del 2022, anno in cui erano ancora vigenti le limitazioni di viaggio e di spostamento. Come sottolinea lo stesso Istat, i risultati ottimi che il settore ha fatto segnare a partire dal giugno 2022 a oggi sono comunque ancora al di sotto del periodo pre crisi. Tutti gli indicatori per il futuro prossimo ci dicono che questi livelli verranno raggiunti e superati rapidamente, ma oggi non è ancora così. Va anche sottolineato che molte strutture del settore, in particolare quelle delle città d’arte, sono rimaste chiuse per oltre due anni, semplicemente per mancanza di domanda causa epidemia. Una condizione che ha comportato un ricorso massiccio al credito bancario, tanto che il Centro studi Confindustria ha misurato che a fronte di un incremento mediamente del 34,5 per cento per molti settori, nel solo comparto turismo, l’incremento è stato del 45,6 per cento. Su questa situazione si è scaricato anche il peso degli aumenti dei tassi che la Bce sta portando avanti per contrastare l’inflazione. In poco più di un anno siamo passati da un tasso base dello 0 al 4 per cento a seguito dell’ultimo intervento della Banca centrale. Quindi certamente va tutto bene ma non possiamo dimenticarci quello che abbiamo passato e i segni profondi che questo ha lasciato nei conti delle imprese. Quanto al tema degli affitti brevi che viene richiamato nell’articolo, non direi proprio che la bozza di provvedimento in discussione vada nella direzione di proibire. Al contrario si prevede l’attivazione di una banca dati con l’attribuzione di un codice univoco, peraltro non solo per gli appartamenti, ma anche per gli alberghi stessi e per tutte le altre tipologie di ricettivo, che dovrà essere esposto dove si esercita l’attività ma soprattutto in tutti quei canali con cui si avrà modo di commercializzare la propria offerta. Un’operazione trasparenza che va nella stessa direzione di quella che stanno percorrendo altri paesi e su cui si sta discutendo anche in Europa. Il fenomeno ha assunto delle dimensioni troppo grandi per essere lasciato nel limbo dello spontaneismo. L’unico vincolo, di cui peraltro si sta ancora discutendo, è quello relativo ai soli gestori di più di quattro appartamenti, per i quali viene previsto un “minimum stay” di due notti. Una regolamentazione che non mi sembra proibisca in alcun modo l’esercizio di questa attività. Quanto alle motivazioni, credo che sia sotto gli occhi di tutti la trasformazione che i centri storici e molte località turistiche hanno vissuto nell’ultimo periodo, la popolazione residente si è progressivamente allontanata e questo credo che non costituisca un valore per le nostre città e impatti negativamente sull’immagine del nostro paese.
Carmela Colaiacovo, presidente di Confindustria Alberghi
Capisco il suo punto di vista, gentile presidente Colaiacovo, ma le offro qualche spunto di riflessione in più, rispetto al secondo tema toccato nella sua lettera. Una politica che di fronte alla presenza di una domanda forte (affittare per poche notti una casa) prova a intervenire sull’offerta (proibire gli affitti brevi delle case) piuttosto che ragionare sulla domanda (perché ci sono così tante persone che vanno per poche notti in città preferendo una casa in affitto piuttosto che un albergo) è una politica che dal nostro punto di vista non fa un buon servizio al paese. Se nelle città la domanda di affitti è di pochi giorni, il problema è legato non alla presenza di un Airbnb ma alla presenza di servizi di quella città non all’altezza, non capaci di spingere i turisti a rimanere in città più di una notte. E allo stesso tempo, come segnalato sul Foglio da Carlo Stagnaro tre giorni fa, la stretta del governo sugli affitti brevi – affitti brevi che grazie ad Airbnb e Booking sono passati dallo status di mercato nero allo status di mercato dichiarato – appare un’incomprensibile intrusione nella libertà dei proprietari di casa di mettere a frutto i loro asset. “Una mossa autolesionistica – dice giustamente Stagnaro – in un paese che ha alcune caratteristiche del tutto peculiari: un patrimonio artistico senza pari al mondo, un vasto numero di unità abitative sfitte, una ricettività turistica insufficiente e spesso disorganizzata, una diffusa proprietà edilizia e un’inflazione tra le più feroci in Europa, senza contare il fatto che si sono rese disponibili proprietà che, altrimenti, sarebbero state in gran parte destinate a rimanere inutilizzate”. Mi perdonerà se mi spingo a tanto, ma le strette su Airbnb mi ricordano le strette fatte in questi mesi su un altro fronte importante: quello del trasporto pubblico. Per tutelare i tassisti, si è scelto di regolamentare in modo restrittivo i concorrenti dei tassisti. E il risultato si è visto: meno concorrenza significa prezzi più alti e qualità più bassa. In Italia il turismo sta andando bene (anche meglio della stagione pre pandemica: nel bimestre gennaio-febbraio 2023 rispetto allo stesso periodo del 2019 le presenze degli italiani sono in aumento del 4,8 per cento, mentre quelle straniere hanno registrato un +3,5 per cento). E avere concorrenza anche sul fronte dell’ospitalità è uno stimolo sia per le città sia per gli alberghi. Per offrire servizi migliori e per farlo a un prezzo competitivo. Grazie della sua lettera e a presto.