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Putin voleva dividere l'occidente. Invece l'ha unito contro la Russia
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Caro Cerasa, passare dagli articoli degli opinionisti “neoerasmiani” (“La pace più ingiusta è preferibile alla guerra più giusta”, Erasmo da Rotterdam, “Querela pacis”, 1517) a quelli di Vittorio Emanuele Parsi sul Foglio dà sempre un senso di sollievo. E’ come aprire una finestra in una stanza piena di fumo. E quanto il professore dell’Università Cattolica ha scritto ieri su queste colonne, commentando il puzzle russo di queste ore, lo conferma. Mi sia consentita solo una nota a margine: difficilmente Putin perdonerà a Prigozhin di avere smontato tutte le menzogne della propaganda del Cremlino sulla guerra civile in Donbas, sulla guerra per procura della Nato e sulla volontà di Kyiv di aggredire la Russia come cause che hanno provocato “l’operazione militare speciale”.
Michele Magno
Il primo obiettivo di Putin in Ucraina era quello di far rivivere il Grande impero russo, avvicinando Kyiv a Mosca e dividendo l’occidente. La giornata di sabato ci ha ricordato ancora una volta che mai come oggi l’Ucraina è vicina all’occidente e che mai come oggi chi appare diviso, attraversato da tensioni, non è l’occidente sfidato da Putin ma è la Russia che doveva unirsi per dividerci. E a chi sostiene che la fallita marcia su Mosca di Prigozhin non abbia avuto effetto è sufficiente porre una domanda: dopo la ribellione del capo della Wagner, il sostegno dell’occidente all’Ucraina subirà una battuta d’arresto o registrerà un’accelerata? Risposta esatta.
Al direttore - Liberateci dagli attivisti per Emanuela Orlandi. Straparlano quando pretendono una commissione parlamentare d’inchiesta di cui ignorano l’abc.
Massimo Teodori
Al direttore - E se la destra iniziasse a prendere qualche lezione in meno da Viktor Orbán e qualche lezione in più da Kyriakos Mitsotakis?
Arianna Farrini
E’ esattamente il consiglio offerto ieri dal Wall Street Journal alle destre internazionali. Mitsotakis, che guida un paese che ha più abitanti dell’Ungheria (10 milioni contro nove milioni) e che ha un prodotto interno lordo che vale più di quello dell’Ungheria (214 miliardi di dollari contro 181 miliardi di dollari), ha vinto le elezioni da europeista puro, da mercatista genuino, da rigorista sincero. Ha vinto promettendo un taglio dell’aliquota dell’imposta sulle società al 22 per cento (oggi è al 29 per cento). Ha vinto promettendo un contenimento della spesa (nel 2026 il debito pubblico dell’Italia supererà quello della Grecia). Ha vinto promettendo una riforma delle pensioni non sfascia conti (come hanno fatto invece i nazionalisti italiani). E ha vinto promettendo che farà tutto il necessario per far riconquistare alla Grecia il rating che si merita. Si possono vincere le elezioni, da destra, anche senza presentarsi agli elettori come i più acerrimi nemici della globalizzazione, dell’Europa e del rigore. Meno Orbán, più Mitsotakis. Il futuro della destra passa anche da qui.
Al direttore - Si può essere a favore o contro la Gpa, ma il reato universale non sta in piedi dal punto di vista giuridico. Innanzitutto c’è una palese contraddizione tra il disvalore semibagatellare assegnato dal nostro ordinamento a questo reato (pena minima 3 mesi, massima 2 anni) e il fatto che si pretenda di punirlo ove commesso fuori dai confini nazionali (il che è comunque già oggi possibile se si muove il ministro della Giustizia). Il nostro codice consente al legislatore di selezionare fattispecie punibili anche se realizzate all’estero e ne individua le condizioni. Non tutti i reati, ma quelli che, in una logica sistematica, giustifichino uno strappo così significativo. Il punto è quello della ragionevolezza: e anche alla luce dei precedenti è necessaria una coerenza tra gravità del reato a livello nazionale e scelta di colpirlo anche extra confini. A questo si aggiungono altri molteplici profili sottolineati coralmente dai professori ascoltati in commissione Giustizia (dalla doppia incriminazione alle impossibili rogatorie). In Parlamento tanti la pensano come me, ma votano sì al reato universale per timore di essere additati come pro Gpa, accodandosi ai populisti che usano il codice penale come manifesto elettorale. E questo è molto grave per chi si definisce liberale. Utilizzare il diritto penale “simbolico”, per timore di non apparire sufficientemente rigorosi. Si verifica un fatto grave? La reazione demagogica, che parla “alla pancia”, è quella di alzare irragionevolmente le pene, introdurre reati, sterilizzare garanzie. Dare in pasto all’opinione pubblica leggi che scassano il sistema risponde a uno schema consolidato dei populisti, a cui, purtroppo, si accodano taluni “sedicenti” liberali, che non hanno la forza di opporsi. Perché non hanno la forza di opporsi? Perché per opporsi allo schema giustizialista-populista bisogna avere “le palle”, ed essere capaci di resistere al fango che viene sistematicamente lanciato contro chi ha la “colpa” di difendere lo stato di diritto dalla spoliazione delle garanzie processuali o dall’abuso del codice penale. Se ti opponi ti infangano alimentando l’idea che se metti in dubbio certe iniziative giudiziarie discutibili sei colluso con la criminalità, se ti opponi alle proposte di legge manettare sei dalla parte dei corrotti, se difendi le garanzie nel processo, proteggi i colpevoli. E i tanti amici che mi sussurrano di condividere il mio pensiero sulla Gpa reato universale, ma la votano per timore di essere etichettati pro Gpa, cascano nella stessa rete e, senza accorgersene fanno il gioco dei giustizialisti.
Enrico Costa, deputato di Azione
Per essere contrari alla surrogata, non è necessario alzare le pene. E per essere scettici sulla Gpa, non è necessario essere dei fan del reato universale. Buon punto, caro Costa.