Lettere
L'Afghanistan ci ricorda che l'occidente sbaglia quando arretra
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - In Afghanistan il ritorno dei talebani ha riportato indietro le lancette della storia, riportandolo ai tempi bui della repressione, della discriminazione, del diniego dei diritti civili. E le donne sono le prime a pagarne le conseguenze. Donne a cui è stato negato dapprima l’accesso a scuola, poi al lavoro, ai parchi e ora anche al parrucchiere, in una sorta di escalation improntata a negare formazione, occupazione, tempo libero, dignità. L’Euaa (Agenzia dell’Unione europea per l’asilo) ha chiesto agli stati membri di accogliere le richieste d’asilo delle donne afghane. Danimarca e Svezia lo hanno fatto. Nel maggio scorso ho presentato una petizione, assegnata alla I commissione Affari costituzionali, per la concessione dello status di rifugiato politico alle donne afghane che lo richiedano. L’Italia è capace di grandi gesti di umanità: nel 1992 con il decreto legge 390 2bis, si concedette l’ospitalità agli sfollati delle repubbliche ex yugoslave riconoscendo, per la prima volta nella giurisprudenza italiana, il diritto all’ingresso nel nostro paese in deroga alla normale legislazione sull’immigrazione. Si potrebbe quindi prendere a “modello” quella legge, tenendo presente che già l’articolo 10 della nostra Costituzione recita: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione ha diritto d’asilo” e l’articolo 14 della Dichiarazione universale dei diritti umani afferma: “Ogni individuo ha il diritto di cercare in altri paesi asilo dalle persecuzioni”. Ci sono dunque già degli strumenti legislativi “pronti” a cui fare riferimento per permettere al nostro paese di farsi carico di questa emergenza umanitaria. So che sono tempi difficili per l’accoglienza, ma è proprio nelle crisi che spesso ci si riconosce come umani. Hostis (nemico) e hospes (ospite) vengono dalla stessa radice. Non discriminiamo per sole due lettere.
Daniele Piccinini
L’Afghanistan è lì a ricordarci ogni giorno che l’occidente sbaglia non quando prova a esportare la sua democrazia ma quando sceglie di arretrare, quando sceglie di disimpegnarsi, quando sceglie di non intervenire. In Afghanistan abbiamo visto cosa significa non combattere per la libertà. In Ucraina stiamo vedendo cosa vuol dire combattere contro i nemici della libertà. E fare uno sforzo, a livello italiano, per aiutare chi scappa dall’orrore non dovrebbe essere un’opzione: dovrebbe essere un dovere. Grazie della lettera.
Al direttore - Dalla prima Roma alla terza Roma: non è solo uno slogan. La vicenda della milizia russa Wagner ci riporta all’organizzazione militare della Roma monarchica (VII-V secolo a. C.). Le milizie romane introdussero gli Opliti, che erano dei militari professionalizzati. Come sostiene Dionigi di Alicarnasso, l’organizzazione oplitica favorì un certo sviluppo istituzionale, in cui il rex per ragioni d’età o per le incombenze che lo trattenevano in città, non potendosi occupare direttamente delle funzioni militari, le delegò a soggetti diversi dal monarca stesso, ma a lui fedelissimi. Il magister militum fu l’ausiliare del rex nelle questioni belliche e dal rex derivò la sua prerogativa di potere militare. Guai però se il magister militum avesse disobbedito anche minimamente al rex, prevaricandone la sfera di competenza che il medesimo gli aveva concesso. Infatti, al rex il magister militum rispondeva direttamente sul piano penale. Insomma, i magistri militum dovevano, secondo l’espressione di Cicerone, “gerere personam regis” (“De officiis”, 1,34).
Giuseppe Di Leo