Lettere
Giochi del Mediterraneo e serie A. Poi non lamentiamoci dei sauditi
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Così recita il comma 6 dell’articolo 9-bis del decreto legge n. 69 (qui ha poca importanza la materia che disciplina) convertito dal Senato e ora all’esame della Camera: “Al fine di assicurare il bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e quelle di salvaguardia dell’occupazione e tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute, dell’ambiente, dell’incolumità pubblica e della sicurezza urbana, è ammessa l’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo 217 del testo unico delle leggi sanitarie, di cui al regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, ovvero agli articoli 50, comma 5, e 54, comma 4, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, incidenti sull’operatività di stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale ai sensi dell’articolo 1 del decreto legge 3 dicembre 2012, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231, in relazione ai quali… Le disposizioni di cui al primo periodo si applicano anche in caso di riesame e di rinnovo dell’autorizzazione integrata ambientale ai sensi dell’articolo 29-octies del citato decreto legislativo n.152 del 2006 e di prosecuzione dell’attività ai sensi del comma 11 del medesimo articolo 29-octies”. Sabino Cassese sostiene da una vita la necessità di rendere leggibili le norme emanate da governo e Parlamento. Con scarsi risultati, purtroppo. Ma se il legislatore continua a legiferare con un linguaggio oscuro, al limite del grottesco e incomprensibile ai più, sono i pochi, anzi i pochissimi, ad avvantaggiarsene. E questo è un bel problema per una democrazia rappresentativa.
Michele Magno
La linea più breve tra due leggi è l’arabesco.
Al direttore - Giovanni Malagò con una lettera indirizzata ai ministri Fitto e Abodi e al governatore della regione Puglia, Michele Emiliano, e al sindaco di Taranto, Melucci, ha ritirato ufficialmente il Coni dal comitato organizzatore dei Giochi del Mediterraneo 2026. La manifestazione sportiva che si svolgerà insieme alle Olimpiadi chiamando in Puglia 4.000 atleti di 26 paesi. Dal masterplan di candidatura, regione e comune avrebbero dovuto investire 142 milioni e il governo 120. Ma quelli degli enti locali sono spariti dai radar, mentre Emiliano e il sindaco hanno subito iniziato a chiedere quelli del governo. Per tre anni i cantieri sono stati fermi, nonostante il comitato abbia speso più di 4 milioni non si capisce come, se non per sponsorizzare eventi della regione Puglia come il Medimex, rivolti alla stessa Taranto. Finché i ministri Fitto e Abodi hanno deciso di commissariare i Giochi, come le Olimpiadi di Cortina, per velocizzare le opere. A quel punto Emiliano ha impugnato al Tar il decreto di commissariamento, con la motivazione di essere stato esautorato, come per Tap e Ilva. Ne è nata una querelle che è andata avanti per mesi. Il risultato è che mancano meno di tre anni, e non è partito neppure un cantiere delle nuove, e discutibili, opere. Finché ieri Malagò, per evitare una figuraccia nazionale di fronte a tutto il mondo, ha ritirato il Coni dal comitato, lasciando al proprio destino Emiliano e Melucci. Questa storia è emblematica e spiega a tutto il Mediterraneo perché il sud d’Italia non va avanti, piegato da cacicchi, clientele, interessi di bottega e personalismi.
Annarita Digiorgio
I Giochi del Mediterraneo, leggo dalle cronache, avrebbero dovuto essere preceduti da alcuni progetti importanti. Uno stadio di calcio, uno stadio del nuoto, un centro nautico. Le ragioni per cui Malagò ha giustamente lasciato Emiliano & Co. al loro destino sono le stesse per cui ogni tre anni i diritti tv del calcio italiano valgono quello che valgono. Niente infrastrutture, niente spettacolo. Niente spettacolo, niente soldi. Poi non lamentiamoci se arrivano i sauditi.
Al direttore - Caro Cerasa, vi scrivo per precisare un’inesattezza che riguarda Chora Media, la società che dirigo. Nell’articolo pubblicato ieri e dedicato al mondo dei podcast scrivete che dopo la ricapitalizzazione i debiti di Chora ammontano a 11,3 milioni di euro. Le cose sono sostanzialmente diverse: i debiti di be content sono finanziamenti soci (che verranno convertiti a settembre in capitale sociale) con cui è stata comprata Will e garantita la fase di startup. Gli unici debiti nei confronti del sistema creditizio sono finanziamenti a lungo termine per circa 3 milioni.
Mario Calabresi