le lettere

A leggere Vannacci & co. viene voglia di essere politicamente corretti

Chi ha scritto a Claudio Cerasa. Le lettere al direttore del 24 agosto 2023

Al direttore - Notarelle storiche per il gen. Roberto Vannacci. Giulio Cesare fu un grande condottiero ma non disdegnò di varcare il Rubicone della bisessualità. L’esercito più valoroso della storia che conquistò tutte le terre allora conosciute, la Falange macedone, era invincibile grazie ai rapporti omosessuali che legavano tra loro questi rudi soldati.
Giuliano Cazzola

 

A forza di cialtroni che sputtanano le battaglie contro il politicamente corretto, viene una pazza voglia di essere politicamente corretti. Si legga il meraviglioso elefantino sul Foglio di oggi.


  

Al direttore - Nell’omelia della messa che ha aperto il Meeting di Comunione e Liberazione, il cardinale Matteo Maria Zuppi ha affermato che per la fine del conflitto in Ucraina l’Unione europea “fa troppo poco, dovrebbe fare molto di più. Deve cercare in tutti i modi di aiutare iniziative per la pace, seguendo l’invito del Papa per una una pace creativa”. Dobbiamo credere, ha proseguito il presidente della Cei, “che ci sia un modo per arrivare a una pace giusta e sicura non con le armi ma con il dialogo”. Con tutta la (sincera) stima che ho per lui, spiace che l’emissario del Pontefice a Kiyv (ricevuto da Zelensky) e a Mosca (non ricevuto da Putin) si sia allineato alla polemica mainstream contro Bruxelles. Significa che occorre sospendere gli aiuti militari all’aggredito? Beninteso, tutti preferiremmo la via del dialogo a quella dello scontro bellico per arrivare a una pace “giusta e sicura”. Ma dialogo con chi? Con chi ha sbattuto la porta in faccia all’arcivescovo di Bologna? E, poi, quali sono le condizioni di una “pace giusta e sicura”: la resa di chi è stato invaso, una soluzione alla “coreana”, un’autonomia del Donbas alla “Sud Tirol”, o altro? Ma immaginiamo pure che si arrivi, non so come, a una tregua. L’Ucraina resterebbe con le sue rovine urbane e industriali, le sue infrastrutture civili distrutte, il suo territorio devastato, le sue migliaia di morti, le sue famiglie smembrate, i suoi giganteschi problemi di ricostruzione. Qui casca l’asino. Una “pace giusta e sicura” può prescindere dal ritiro dell’esercito russo dalle oblasti annesse con referendum farsa e dalla riparazione dei danni di guerra? Può, ma solo se si consente con l’adagio di Erasmo da Rotterdam, secondo cui “la pace più ingiusta è migliore della guerra più giusta” (“Querela pacis”, 1517). Eppure “Vim vi repellere licet”, è lecito respingere la violenza con la violenza, è un principio accettato da ogni ordinamento giuridico e da ogni dottrina morale, tranne dalle dottrine della nonviolenza. Con una sua interpretazione perfino estensiva, è stato accolto anche nel Catechismo della Chiesa cattolica, voluto nel 1992 da Giovanni Paolo II come espressione del magistero conciliare. “Opus iustitiae, pax” (Isaia 32,17) era il suo motto episcopale. E, poiché la pace può nascere solo dalla giustizia, Papa Wojtyla arriverà a dire che “ci sono casi in cui la lotta armata è un male inevitabile a cui, in circostanze tragiche, non possono sottrarsi neanche i cristiani” (Omelia sulla Heldenplatz di Vienna, 10 settembre 1983). Del resto, la comunità dei credenti non è un monolite (vedi la “amara necessità” della resistenza armata ammessa dal cardinale Pietro Parolin). Nel Vaticano come nel popolo delle parrocchie, si ripresenta così quel dilemma tra resistenza e resa che il pastore protestante Dietrich Bonhoeffer sciolse scegliendo la prima e pagandone il prezzo nel lager di Flossenbürg. Altri fedeli, invece, sono favorevoli alla seconda. Nell’ottobre del 1939, Emmanuel Mounier pubblicò sulla rivista Esprit un saggio intitolato “Les Chrétiens devant le problème de la paix”. Edito per la prima volta in Italia nel 1958, è stato ristampato recentemente da Castelvecchi (“I cristiani e la pace”, introduzione di Stefano Ceccanti). Merita di essere riepilogato brevemente il suo contesto. Il 29 settembre 1938 Hitler incontrò a Monaco il premier inglese Neville Chamberlain, il Primo ministro francese Édouard Daladier e Benito Mussolini. Il mattino seguente firmarono un accordo che permetteva all’esercito tedesco di completare l’occupazione della regione dei Sudeti. Gran Bretagna e Francia comunicarono al governo cecoslovacco che poteva resistere da solo all’invasione nazista o arrendersi e accettare l’accordo. Abbandonata dai suoi alleati, la Cecoslovacchia gettò la spugna rapidamente. Al loro ritorno in patria, Chamberlain e Daladier furono accolti da folle esultanti, convinte che era stato evitato un conflitto militare disastroso con il Terzo Reich e di avere placato le sue ambizioni egemoniche in Europa. Nel marzo del 1939 Hitler ruppe l’accordo annettendosi l’intera Boemia e la Moravia. Con una palese allusione al “tradimento di Monaco”, il filosofo del “personalismo cristiano” scrive: “Questo pacifismo, nel settembre del 1938 non aveva a cuore la giustizia dei Sudeti, né quella dei Cechi, né quella dei Trattati, né quella delle loro vittime, né l’ingiustizia della guerra, ma aveva una sola ossessione: che non si interrompessero i suoi sogni di pensionato. […] La pace è compromessa non solo dai guerrafondai ma anche dagli imbelli […]. E’ forse questo il comportamento che si addice ai fedeli di una religione la cui pietra angolare è costituita da un Dio fattosi uomo sulla terra?”. Sono parole nobili, sideralmente distanti dal cinismo politico esibito da taluni maître à penser domestici. Per uno dei tanti paradossi di cui è piena la storia repubblicana, è toccato a una donna postfascista sottolineare che “sbaglia chi crede sia possibile barattare la libertà dell’Ucraina con la nostra tranquillità” (Giorgia Meloni, discorso d’insediamento alle Camere).
Michele Magno