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Sì o no a quelle proroghe del Superbonus? Ci scrive Gualtieri
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Caro Cerasa, come breve e concreta precisazione all’articolo di ieri di Luciano Capone (nel quale commentando la mia intervista a Repubblica si sostiene tra le altre cose che io non mi sarei mai opposto alle proroghe del Superbonus 110 per cento) ti invio una brevissima rassegna stampa. Come avrai potuto vedere sono una manciata di articoli usciti tra il novembre e il dicembre 2020 (ce ne sono molti di più) che molto meglio di qualsiasi altra risposta raccontano il duro scontro che si svolse sulla proroga al 2023 richiesta dal Movimento 5 stelle, con il supporto di gran parte del Parlamento, e che si concluse con la mediazione di una proroga al giugno 2022, a cui dopo la caduta del governo Conte ne sarebbero seguite altre più ampie. A beneficio del lettore segnalo qui solo il pezzo di apertura della brevissima rassegna. Titolo sulla Stampa del 29 novembre 2020: “Superbonus, tutti contro Gualtieri: sbagliato farlo scadere nel 2021”.
PS: Visto che Capone ha tirato in ballo anche Antonio Misiani, aggiungo le parole che pronunciò allora in audizione in Parlamento a nome del Mef: “Non è pensabile” al di fuori di una fase di “grave crisi” come quella del Covid, “che lo Stato si faccia carico interamente dei costi di ristrutturazione degli edifici privati”.
Cordiali saluti.
Roberto Gualtieri, sindaco di Roma
e ex ministro dell’Economia
Risponde Luciano Capone. La breve rassegna stampa inviata dall’ex ministro dell’Economia conferma esattamente quanto scritto nell’articolo: “In audizione alla Camera Gualtieri si è detto favorevole a un prolungamento del Superbonus con i fondi europei” oltre il 2021, dice l’articolo della Stampa citato dal sindaco di Roma. “Se il Superbonus si fosse chiuso al 31 dicembre 2021 non ci sarebbe stato alcuno sforamento”, dice oggi Gualtieri. Al di là di ciò che si è detto, e vale anche per Misiani, conta ciò che si è fatto. E’ la differenza tra etica dell’intenzione ed etica della responsabilità, di cui parlava Max Weber a proposito della “Politica come professione”. Cordiali saluti.
Al direttore - L’articolo di Luciano Capone sul Foglio del 5 settembre, riguardante le stime effettuate dalla Ragioneria generale sulle spese derivanti dai bonus edilizi, è stato travisato da quanti ne hanno preso spunto per mettere in discussione il ruolo di Biagio Mazzotta, un servitore dello stato di prim’ordine. Il punto è, invece, di rilievo istituzionale. Come ha spiegato vari anni fa Aaron Wildavksy, il maggior esperto dei processi di bilancio, in tutti gli ordinamenti vi sono numerosi “avvocati della spesa”, cioè soggetti e gruppi sociali che richiedono insistentemente l’incremento di questo o quel programma di spesa, e pochi “custodi del tesoro”, cioè istituzioni preposte alla salvaguardia dei conti pubblici: da noi, la Banca d’Italia, la Corte dei conti e, appunto, la Ragioneria generale dello stato. La questione è se quest’ultima, per le competenze tecniche di cui dispone e per l’autonomia che la tradizione e la legge le riconoscono, sia in grado di prevedere correttamente “i nuovi o maggiori oneri” che una legge di spesa può comportare. Tanto è vero che spetta alla Ragioneria verificare l’adeguatezza e la congruità delle relazioni predisposte dai vari ministeri di spesa. Dunque, per evitare che le leggi di spesa producano conseguenze impreviste, mettendo a rischio i conti pubblici, la competenza e l’autonomia della Ragioneria devono essere preservate. Il resto sono chiacchiere che speriamo abbiano vita breve.
Giacinto della Cananea
Al direttore - Caro Cerasa le fornisco un modesto contributo per il Festival dell’ottimismo. Durante tutta l’estate ci hanno perseguitato mostrando scontrini con importi inverosimili al solo scopo di piangerci addosso. Domenica sera a Zocca (d’accordo non è Ibiza e neppure il Twiga) insieme a mia moglie (allego lo scontrino pagato col bancomat) abbiamo cenato con due pizze, una birra media e una bottiglia di acqua minerale, per la somma di 23 euro.
Giuliano Cazzola
Al direttore - Anch’io sono rimasto a dir poco sorpreso dal tono e dal contenuto delle dichiarazioni di domenica del ministro Giorgetti a proposito della cosiddetta tassa sugli extraprofitti delle banche su cui giustamente si sofferma l’editoriale di mercoledì scorso del Foglio. E’ evidente che il ministro ha subìto una decisione tutta politica della Presidenza del Consiglio e parlando di una “versione definitiva” (!) fa capire che spera che il Parlamento procederà a emendare il testo. Tutto questo è segno di una grande confusione, ma apre anche un altro problema non secondario. Una delle cause principali del disordine delle leggi italiane è l’emendabilità dei decreti legge. Infatti le norme dei decreti legge entrano in vigore subito, ma quando sono emendate cessano di essere vigenti ma continuano a esistere nel periodo intermedio e provocano o possono provocare effetti che vanno appositamente regolati. Da qui il caos che è particolarmente grave per le norme fiscali che dovrebbero essere certe. Personalmente penso che un giorno la Corte costituzionale, che già fu costretta a intervenire per bloccare la reiterazione dei decreti legge non convertiti in legge, dovrà porsi il problema della emendabilità dei decreti legge: se il potere esecutivo sottrae al legislativo il potere di fare le leggi, dovrebbe trattarsi non solo di materie che richiedono un intervento “necessario e urgente”, ma anche di formulazioni che impegnano politicamente il governo. Gli emendamenti del Parlamento ai decreti legge sono da un punto di vista politico-costituzionale delle dichiarazioni di sfiducia contro l’esecutivo, perché indicano che il Parlamento disapprova l’uso che un governo ha fatto del potere straordinario di legiferare. Ho sempre pensato che i presidenti delle Camere dovrebbero intervenire su questa materia difendendo le prerogative degli organi deputati alla legislazione che sono le Camere. Più che di nuove norme costituzionali avremmo bisogno di rispettare e di far rispettare quelle che ci sono.
Molto cordialmente.
Giorgio La Malfa
Vale quando si parla di economia, caro La Malfa, ma dovrebbe valere anche su altri temi, per esempio la giustizia. Osservo con nostalgia questa frase consegnataci un anno fa da Carlo Nordio, prima di diventare ministro: “Chi tende a intercettare una domanda di sicurezza degli elettori giocando con il rialzo delle pene alla fine non fa altro che ingrassare un populismo che in pochi mi sembra vogliono combattere davvero: quello penale”. Ecco.