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Mai più? Per Hamas ancora e ancora. Due popoli e uno stato
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - L’Halloween di Giorgia Meloni: dolcetto o scherzetto?
Giuliano Cazzola
Un film da rivedere per l’occasione, consigliato dall’ex ministro Enzo Amendola: “Totò e l’ambasciatore di Catonga”. Sipario.
Al direttore - È altamente probabile che molti di quelli che riempiono le piazze urlando a favore di Hamas, di quelli che hanno strappato le bandiere di Israele, molti dei professori che si rifiutano di firmare mozioni contro l’aggressione di Hamas, il 27 gennaio vorranno anche pubblicamente partecipare al Giorno della memoria. Come fanno a non sentire la contraddizione tra il ricordare il genocidio degli ebrei perpetrato dai nazisti, e il sostenere un movimento che ha nel proprio statuto l’obiettivo di farne un secondo, sterminando gli ebrei in quanto ebrei e cancellando Israele da qualunque carta geografica? Ricordare il passato dovrebbe servire al “mai più”: come fanno a dirlo coloro che sostengono un movimento politico che dice di battersi per “ancora una volta”? Problemi loro. Quelli di cui non possiamo non occuparci sono i problemi degli altri: di quelli che sono vicini a qualcuno che fu colpito da quelle vicende, o che semplicemente, in quanto uomini, sentono il peso di quanto altri uomini fecero, senza esserne impediti. Per loro (per noi) in una ricorrenza voluta proprio perché quell’orrore non abbia mai più a ripetersi, trovarsi fianco a fianco con persone che parteggiano per chi vuole che succeda di nuovo, riacutizza una ferita che non si rimarginerà mai. Se c’è il rischio che la partecipazione alla ricorrenza serva a giustificare il consenso manifestato a coloro che lo stanno ripetendo, la soluzione è una sola: cancellare l’occasione di farlo, abolire il Giorno della memoria. Non abbiamo memorie in comune. Dato che è impossibile distinguere le persone in base a ciò che vogliono commemorare, e (da noi) ciascuno è volterrianamente libero di manifestarlo pubblicamente, non contribuiamo a mantenere in vita quella che rischia di diventare una oscena commistione.
Franco Debenedetti
Purtroppo, sulla memoria che si perde via, aveva capito tutto l’attore Sacha Baron Cohen, che nel 2006 registrò una canzone solo apparentemente ironica. Tema: “In My Country There Is Problem”. Svolgimento: “In my country there is problem / And that problem is the Jew / They take everybody money / They never give it back / Throw the Jew down the well / So my country can be free”. Da mai più a ogni giorno di più.
Al direttore - “[…] Finalmente ho capito perché gli arabi odiano tanto gli ebrei. Non è la razza. Non è la religione, che li sobilla contro di loro. E’ l’atto d’accusa, è la condanna, che gli ebrei rappresentano, agli occhi di tutto il mondo, qui nelle loro terre, contro la loro ignavia, la loro mancanza di buona volontà, d’impegno nel lavoro, di entusiasmo pionieristico, d’intelligenza organizzativa. Israele dimostra ch’è proprio questo che manca alle zone depresse del medio oriente. Sono gli uomini che le abitano, non la natura o il buon Dio, che le hanno rese tali. […] In trent’anni di dura fatica, ogni singolo, posponendo il proprio tornaconto individuale all’interesse di tutti, ogni generazione sacrificando il proprio comodo al bene di quelle successive, della zona depressa palestinese ha fatto la pianura padana. […] E’ stata questa meravigliosa avventura umana che mi ha ipnotizzato, facendo passare in seconda linea il mio interesse (e purtroppo anche quello del mio giornale) sulla politica mediorientale. Perché essa rispondeva proprio, con fatti clamorosi e incontestabili, alla domanda che mi ero sempre posto: e cioè se siano i paesi a fare gli uomini, o gli uomini a fare i paesi. Amici miei, sono gli uomini a fare i paesi: gli uomini e soltanto gli uomini, la loro volontà, la loro fatica, la loro capacità di credere e di sacrificarsi per ciò che credono. Le zone depresse esistono soltanto lì, nel loro animo rassegnato, nei loro muscoli fiacchi, nel loro indolente cervello, nella rinunzia alla lotta, nella mancanza di un senso religioso della vita, e quindi nella disposizione a trarne soltanto profitti e godimenti immediati. Ecco, questo mi ha dimostrato Israele” (Indro Montanelli, La Domenica del Corriere, 1960).
Michele Magno
Ghazi Hamad, funzionario di Hamas, ieri all’emittente libanese Lbci news: “Dobbiamo dare una lezione a Israele e lo faremo ancora e ancora. I fatti del 7 ottobre sono solo l’inizio. Ci sarà una seconda giornata come quella, una terza e una quarta, Israele è un paese che non ha posto sulla nostra terra”. Due popoli, uno stato.