la lettera
Una pressione intollerabile
Appello banale e auspicio scontato di un ricercatore disperato di fronte alla cronaca internazionale
Al direttore - E' ormai difficile per me sostenere la pressione cui mi stanno sottoponendo da una parte le notizie di cronaca internazionale di questi giorni e dall'altra molte persone che, in privato, mi chiedono di dire la mia sulle vicende di Gaza e di Israele, anche alla luce dei numerosi articoli che escono quotidianamente qui sul Foglio, i quali propendono decisamente per una delle due parti in causa.
E allora, ecco cosa ne penso.
Vorrei spiegare qui come io ritenga colpevoli al pari di chi uccide, perché di quelli fanno il gioco, coloro che schiacciano il dibattito fra due posizioni estreme. Polarizzare e mantenere inconciliabili due parti rappresenta infatti esattamente ciò che i guerrafondai, su tutte e due le sponde, desiderano e riescono facilmente ad ottenere.
Nello specifico, il gioco è semplice: basta selezionare gli argomenti in modo opportuno.
Abbiamo quindi da una parte il gauchismo filopalestinese, che presenta l'orribile conteggio dei morti, l'Apartheid cui sono costretti gli abitanti di Gaza e della Cisgiordania, le madri uccise sotto le macerie e i bambini che le cercano, gli ospedali che crollano, l'indiscriminata ferocia di un esercito scatenato contro milioni di inermi esseri umani, l'appoggio più o meno velato degli Stati Uniti e la selettiva cecità dei governi occidentali, che si scrivono commossi proclami per i derelitti di Bucha, ma non per quelli di Gaza. Non una parola, da parte di coloro che si profondono in simili discorsi, sulla bestialità del terrorismo islamico e palestinese rappresentato da Hamas, e allargando lo sguardo nemmeno un fiato sulla inconciliabilità di certe posizioni e di certe azioni incorporate nella visione teocratica del mondo con qualunque barlume di tolleranza, diritto, democrazia e modernità.
Abbiamo poi dall'altra parte l'intelò liberale e moderato, che ricorda i video di Hamas che ammazza, sventra, decapita e i messaggi dei suoi capi, che chiedono sangue al proprio popolo e ne vantano l'utilità per una causa folle - la distruzione totale e completa di un altro popolo - mentre uno stato intero come l'Iran, sede del più abietto radicalismo islamico, il quale briga per affermare il suo potere regionale in nome di una religione vissuta come odio per gli altri (stranieri, donne, omosessuali, ma soprattutto Usa e Israele). Non una frase, da parte di questi, che possa almeno far comprendere quale è il prezzo di sangue, quale la quantità di morti, quale la condizione di galera a cielo aperto cui dovrebbe sottostare un intero popolo, per compensare le atrocità commesse da Hamas. Anzi: chiunque non consideri come giusta e inevitabile la reazione israeliana, è un antisemita, un erede del nazismo, uno che invoca forni e Shoa.
E così, all’ombra di queste opposte fazioni, davvero cresce l’antisemitismo più bieco e oltraggioso, nutrendosi dell’odio antislamico e della violenza della destra israeliana, e, allo stesso tempo, si alimenta il riflesso militarista della parte avversa, la voglia di mantenere ordine e pace stroncando e massacrando ogni avversario, una volta per tutte.
Ebbene, io desidero rivolgere un appello, e desidero rivolgerlo proprio dalle pagine di questo giornale, ben sapendo che altri che qui scrivono potrebbero non essere d’accordo: abbandoniamo, isoliamo ogni estremista, a cominciare dal nostro paese.
Il veleno della divisione, peraltro accresciuta e alimentata da opposti identitarismi religiosi, è in grado solo di bloccare ogni possibile soluzione che non sia un bagno di sangue; non a caso, Rabin, dopo gli accordi di Oslo, dichiarò che “il conflitto arabo-israeliano è sempre stato considerato politico: un conflitto tra arabi e israeliani. I fondamentalisti stanno facendo del loro meglio per trasformarlo in un conflitto religioso: musulmani contro ebrei, Islam contro ebraismo. E mentre un conflitto politico è possibile risolverlo attraverso la negoziazione e il compromesso, non ci sono soluzioni per un conflitto teologico.”
Se non bastasse il fondamentalismo religioso, la divisione, anche nel nostro stesso paese, è alimentata dalle innumerevoli ragioni che ciascuna parte riconoscibilmente ha, come dai riconoscibilissimi torti che la parte avversa ha senz’altro. Per questo è così difficile fermarsi: perché tutti hanno diverse ragioni, pescando nella storia anche recente, e tutti hanno bisogno di vendetta e giustizia, ma nessuno otterrà altro che morte, anche sua propria, seguendo le parole e i discorsi ispirati di signori che da lontano, in stanze più o meno ovattate, spingono bottoni e prendono decisioni, interpretando l’odio degli altri che si scannano. Tutti chiedono di ricordare la storia, ma tutti di quella ricordano solo ciò che conforta le proprie ragioni; io chiedo invece di dimenticare la storia, quando è faida di innumerevoli lutti contrapposti, e di cominciare da zero.
Questo è dunque quello che sommessamente a tutti, e perlomeno ai miei interlocutori, ritengo di ricordare con questo appello: non schieratevi, non accusatevi di antisemitismo nazista e di filoamericanismo neocolonialista, dimenticando ciascuno il male inflitto dalla propria parte all’altra. Il diritto alla vita, alla cura, alla libertà e all’esistenza libera di due popoli, in due stati e in pace, è l’unico obiettivo che deve essere perseguito, e gli opposti terrorismi devono essere, quelli sì, isolati e recisi alla radice.
E adesso, attendo le accuse, dalle due opposte fazioni: questo è il tempo del tifo, non del ragionamento e dell’accordo, il tempo in cui concetti banali come i miei paiono intollerabili ai più.