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lettere al direttore

E' colpa di Israele anche se non ci sono più ebrei nei paesi arabi?

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - “Alcune associazioni musulmane hanno preso chiaramente le distanze dalle azioni di Hamas e dall’antisemitismo e hanno cercato il dialogo. Ma non tutte: alcune sono state troppo esitanti, e nel complesso sono state troppo poche”. Così la scorsa settimana il vicecancelliere tedesco Habeck. Quando, in Italia, qualcuno di sinistra dirà lo stesso?
Andrea Marrati

Punto essenziale. Ma ce n’è anche un altro importante da mettere a fuoco, un mese dopo i massacri del 7 ottobre. Quello che in molti non capiscono è che Israele negli anni è stato un luogo di riparo non solo per coloro che sono fuggiti dall’Europa, dove mettere una kippah è diventato pericoloso da prima che Hamas entrasse nei kibbutz in  rapendo neonati e uccidendo bambini, ma anche per coloro che sono stati costretti a fuggire dai paesi arabi circostanti. Nel 1948, ha ricordato ieri il Wall Street Journal, nei paesi arabi vivevano circa 900 mila ebrei. Dal 2012 la stima di ebrei nel medio oriente arabo è pari a circa 4.300 persone. Gli ebrei in Siria, Libano, Yemen, Iraq e Libia sono praticamente tutti scomparsi. L’Algeria contava 140 mila ebrei nel 1948 e nessuno nel 2012. Ma il problema ovviamente è Israele, no?

   


 

Al direttore - E’ certamente valido porsi l’obiettivo di mettere in circolo, come scrive il Foglio, una parte della ricchezza finanziaria degli italiani, pari a 5.300 miliardi. Ciò vale soprattutto per i depositi bancari il cui ammontare è aumentato significativamente durante la pandemia per le pesanti incertezze. L’altra faccia della ricchezza finanziaria è il debito pubblico con la necessità di un suo taglio, innanzitutto, ma non solo, dipendente dalla crescita. Occorrerebbe un piano che spinga a “fissare” il risparmio, come scriveva Antonio Fazio, nell’economia reale italiana. Un tale piano sarebbe indisgiungibile da un altro, quello per il debito: l’uno guarda all’altro e viceversa. Se lo si volesse approfondire – riprendendo e decisamente attualizzando progetti di alcuni decenni fa, quale quello del compianto grande giurista, Giuseppe Guarino – si vedrebbe che per questi piani potrebbe valere il “simul stabunt, simul cadent”. Sarebbe, però, importante mettervi, almeno cominciando seriamente a pensarci. 
Angelo De Mattia

 


 
Al direttore - In un saggio di un eminente storico slavista francese, Nicolas Werth (“Putin historien en chef”) sono raccolti i testi di scritti e discorsi di Vladimir Putin. E’ una lettura consigliabile nelle piazze che solidarizzano con i terroristi di Hamas e accusano Israele di massacrare i palestinesi. Putin spiega come vanno trattati i civili ucraini. “La denazificazione è necessaria quando una parte significativa del popolo – molto probabilmente la maggioranza – viene dominata e trascinata dal regime nazista nella sua politica. Cioè quando l’ipotesi ‘il popolo è buono – il governo è cattivo’ non funziona”. Poi lo zar continua: “I criminali di guerra e i nazisti attivi devono essere puniti in modo sommario ed esemplare. E’ necessario procedere a una liquidazione totale. Tutte le organizzazioni che si sono legate alla pratica del nazismo devono essere eliminate e messe al bando”. “Tuttavia, oltre ai vertici – prosegue la dottrina Putin – è colpevole anche una parte significativa della massa di persone che sono nazisti passivi, collaboratori del nazismo. Hanno sostenuto e assecondato il governo nazista. Una giusta punizione per questa parte della popolazione è possibile solo se si sopporta l’inevitabile peso di una guerra giusta contro il sistema nazista, condotta nel modo più delicato e discreto possibile contro i civili”. Come è buono lei!
Giuliano Cazzola

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