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lettere al direttore

Salvini che esulta per l'affermazione di Wilders? Rileggere Pinocchio

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Basta attribuire rigurgiti di subcultura fascista  a FdI! Il ministro Lollobrigida ha dimostrato che, a loro, della puntualità dei treni (principale preoccupazione  del Duce) non gliene può fregar di meno.
Giuliano Cazzola

   


 

Al direttore - Esattamente centoquaranta anni fa Carlo Collodi pubblicava “Le avventure di Pinocchio”, una piccola enciclopedia di quei caratteri e vizi nazionali che meglio hanno resistito all’usura del tempo. Noi italiani, si dice, siamo molto attaccati alla famiglia. Pinocchio, allora, ci propone una riflessione sulla famiglia non proprio apologetica: un babbo falegname e derelitto come il san Giuseppe del presepio, una madre madrina sorella sorellina che si atteggia a Madonna, uno zio putativo come mastro Ciliegia, un parente in incognito come Mangiafoco. Sembrano quei terribili gruppi familistici, piangenti e velenosi, che affollano i salotti di certe trasmissioni televisive. Pinocchio, poi, è un’esplicita parodia del pessimo rapporto che i suoi concittadini in carne e ossa hanno con i libri. Si libera, appena può, di un abbecedario che il genitore aveva ottenuto cedendo una giacca, è testimone compiaciuto di un lancio di libri ai pesci, si rivela misteriosamente alfabeta – lui che a scuola non c’era mai stato – solo per leggere una lapide funeraria. Pinocchio fugge, erra, cammina, può vivere perfino nel ventre di una balena. Trasformista e bugiardo nell’apparenza, è sincero nel fondo. E’ la divinità lignea di un paese che è sempre lì lì per cambiare, sempre alla vigilia di eterne metamorfosi, sempre con il rischio di risvegliarsi diverso ma con l’aggiunta di un paio d’orecchie d’asino. Forse assomiglia più agli italiani del presente che a quelli del passato.
Michele Magno

Dopo aver letto la sua lettera, mi è tornata in mente una scena del film “Pinocchio”, vincitore di due Oscar nel 1941. Gliela ripropongo. Lucignolo: “Conosci il paese dei Balocchi?”. Pinocchio: “No, è la prima volta che ci vado!”. Lucignolo: “Anch’io! Ma so che è proprio un bel posto! Niente scuola, né maestri, è una pacchia, non si studia mai e nessuno ti scoccia!”. Pinocchio: “A me hanno dato...”.  Lucignolo: “E dolci dappertutto, puoi rimpinzarti! Sì, è tutto uno sbaffo!”. Pinocchio: “Mi hanno dato...”. Lucignolo: “Una vera cuccagna! Non vedo l’ora d’esserci!”. Non mi chieda perché ma a leggere il Pinocchio di ieri mi viene in mente il Salvini che oggi esulta per l’affermazione di Wilders in Olanda. Nel paese dei Balocchi, i sovranisti italiani possono esultare se un nazionalista con i fiocchi si afferma in un paese europeo. Nella realtà, ogni nazionalista che si afferma in Europa rappresenta una minaccia per la difesa del nostro interesse nazionale. Più nazionalismo tra i paesi europei uguale meno solidarietà in Europa. Meno solidarietà in Europa uguale più guai per l’Italia. Wilders: “Una vera cuccagna, non vedo l’ora di esserci!”. 

   


 

Al direttore - Se c’è un elemento che ha sorretto il nostro cinema negli anni d’oro, quando grandi registi e grandi attori venivano premiati in tutto il mondo, è la condivisione del rischio. Produttori, distributori nazionali, agenti regionali, esercenti, distributori esteri valutavano i prodotti in fase preliminare e davano o non davano il loro appoggio all’iniziativa filmica. Il distributore nazionale (allora esistevano) presentava ai propri agenti regionali, quasi sempre plurimandatari, talvolta monomandatari, il proprio listino virtuale, composto di progetti con registi e attori, e di film acquistati, e chiedeva loro di approvare il programma finanziario diviso in percentuali diverse a seconda delle zone. Pertanto il minimo garantito nazionale era composto dalle promesse di pagamento (cambiali) che ogni agente regionale firmava in relazione alla propria quota e che successivamente il distributore nazionale “girava” al produttore che a sua volta le costituiva in pegno alla Sezione autonoma di credito cinematografico della Bnl che provvedeva a erogare i fondi a stato di avanzamento. Ecco che la piramide finanziaria coinvolgeva tutte le figure del settore, mentre lo stato si limitava, con il fondo di intervento, a diminuire, per i produttori meritevoli, gli interessi bancari. Questi produttori erano però responsabili del finanziamento bancario, che aveva le caratteristiche del credito ordinario. Perché mai rischiare quando è lo stato a giocare al buio con le immagini? Nessuno pensa più a investire: grazie a Veltroni tramite la componente “culturale” e grazie a “Franceschini” tramite il tax credit. I soldi arrivano dal cielo, vengono promessi prima di girare il film, addirittura quando non servono perché la Rai copre tutta la spesa. Scompaiono i distributori nazionali, gli agenti regionali, le cambiali, i distributori esteri, sostituiti dai burocrati, dispensatori discrezionali di favori, e la creatività nazionale, non più sostenuta dal rischio imprenditoriale, crolla, lasciando spazio agli stranieri che si sono comprati tutto, in particolare i rapporti con la Rai e i benefici del tax credit. La condivisione serviva a migliorare la qualità e la commerciabilità del prodotto, che doveva portare ricavi e utili per tutti coloro che partecipavano alla scommessa cinematografica. Senza condivisione, da quando lo stato è l’unico a perdere, non c’è bisogno di vincere la scommessa, basta giocare. E giocare vuol dire aumentare i costi del prodotto, ingigantire i corrispettivi dei registi, raddoppiare i costi della troupe, vuol dire soprattutto guadagnare in partenza, senza quel rischio imprenditoriale che rappresenta la scommessa del produttore cinematografico. L’unica speranza è che quando il tax credit avrà esaurito il suo ruolo politico e finanziario, la redditività di un prodotto tornerà a essere l’anima del mercato e il segno di una nuova fase creativa.
Michele Lo Foco

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