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LETTERE AL DIRETTORE

Gender e 7 ottobre, due altri modi per parlare di femminicidio

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Prendiamoci pure, in solido, la responsabilità di quel regime patriarcale di cui è stata vittima Giulia. Con molto garbo e rispetto mi permetto di suggerire alle tante donne che giustamente protestano di approfondire se, alla base dei femminicidi, non vi sia qualche altro motivo “più moderno” della figura del pater familias con diritto di vita e di morte sulla moglie e i figli. Mi riferisco alla (sub)cultura del gender, a causa della quale la donna perde la sua identità naturale, non ha più diritto a una desinenza, si qualifica come un indistinto genitore 2, le viene contesa persino la maternità da un maschio all’anagrafe che affitta un utero di un’altra donna costretta a vendere i figli per sopravvivere. Parlarne forse potrebbe essere utile.
Giuliano Cazzola

Su questo tema ha scritto un articolo interessante per il Foglio Lucetta Scaraffia, tre giorni fa. Gliene ripropongo un passaggio: “Il capolavoro ideologico dei sostenitori del gender è stato quello di accreditarsi come alleati del femminismo, di spacciarsi per tali,  in modo da cancellare ogni traccia del loro vero obiettivo, che è quello di negare l’esistenza delle donne, delle donne reali in carne e ossa, delle donne in quanto tali. Se le donne non esistono allora non sono più le odiate rivali che stanno superando gli uomini in tanti campi del sapere e della vita sociale, non sono più loro a dire che possono fare a meno degli uomini. Esse sono concettualmente neutralizzate, virtualmente nullificate: e dunque non rappresentano più alcun pericolo per l’autostima maschile”. E’ solo un punto, non il più importante, non certamente quello centrale per riflettere sui femminicidi, ma è un punto interessante. Grazie. 


Al direttore - In un passo delle “Memorie dal sottosuolo” di Dostoevskij, il protagonista, l’uomo-topo, afferma: “[…] per quanto la rigiri, alla fin fine vien sempre fuori che il principale colpevole di tutto sei sempre tu, tu e nessun altro, e – quel che fa più male – colpevole senza colpa e, potremmo dire, per legge di natura”. Ecco, io non mi sento e non sono responsabile delle atrocità commesse da altri uomini, come se ci fosse un peccato originale “maschile” da dover espiare. 
Michele Magno

A questo proposito, segnalo la bellissima petizione pubblicata su Libération e firmata da personalità e femministe francesi – tra cui la sindaca di Parigi Anne Hidalgo e le attrici Charlotte Gainsbourg e Isabelle Carré  – per il riconoscimento del femminicidio di massa perpetrato da Hamas il 7 ottobre in Israele. “Molti civili sono morti, ma le donne non sono state uccise come gli altri. Sono state fatte sfilare nude e violentate. Lanciamo un appello alle femministe e ai sostenitori della nostra causa affinché il femminicidio sia riconosciuto nei massacri di donne perpetrati il 7 ottobre in Israele. E’ importante che questo termine, spesso usato dalla stampa per descrivere gli omicidi di donne da parte dei loro coniugi o ex coniugi, sia riconosciuto da tutte le ong internazionali (Amnesty International, UN Women, ecc.) per quello che è un femminicidio di massa. E’ questo femminicidio di massa che dobbiamo affrontare, senza collegarlo al conflitto israelo-palestinese”. Il 7 ottobre “molti civili sono morti, ma le donne non sono state uccise nello stesso modo degli altri. Le violenze commesse contro queste donne corrispondono in tutto e per tutto alla definizione di femminicidio, ossia l’omicidio di donne o ragazze a causa del loro sesso… Questo appello non è politico. Questo appello è puramente femminista e umanitario”. Un appello perfetto. Che andrebbe fatto leggere con urgenza a chi ha scritto la piattaforma di “Non una di meno” a sostegno della manifestazione contro la violenza sulle donne di oggi, piattaforma che ha avuto la buona idea di difendere le donne scrivendo un comunicato anti israeliano e filo Hamas. Non una di meno, non una scemenza in più.

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