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In piazza contro l'antisemitismo, per non dimenticare il 7 ottobre

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Alle recenti occupazioni di vari atenei italiani, come Clds (Coordinamento liste Diritto allo studio) rispondiamo con una forte condanna di quella che definiamo una privazione violenta dei diritti fondanti l’università: la libertà d’espressione, di scegliere se aderire o meno a una manifestazione politica e il diritto a studiare. A preoccuparci ulteriormente sono anche le esplosioni di violenza che si stanno verificando in varie parti d’Italia, come  in Statale a Milano, dove vari manifestanti delle sinistre universitarie ed extrauniversitarie hanno minacciato gravemente i nostri rappresentanti in Senato accademico e imposto la sospensione della seduta dell’organo. Per noi c’è anzitutto bisogno di guardare con dolore e responsabilità a quanto sta accadendo nel mondo, soprattutto in medio oriente. Per questo, c’è bisogno anzitutto di dire “Università libera”, perché le manifestazioni spesso violente di questi giorni non portino tra noi studenti quell’odio che può mostrarsi già nei modi di fare politica e nel modo di essere dentro le università. La prima manifestazione è una presenza costruttiva che crei un’università libera nel dialogo e nella pace. Siamo sicuri che la via attraverso cui giungere a una pace tra i popoli sia la via della violenza? Come è possibile costruire pace e democrazia se nelle università queste sono negate? Fermare le lezioni, fermare il Senato accademico: niente di questo ha a che fare con la libertà o con la solidarietà alla guerra. Sono fermamente convinto che l’università abbia un ruolo nella costruzione della pace non tramite l’affermazione di una posizione politica – su di cui gli organi accademici non hanno competenza –, ma piuttosto nel farsi luogo di incontro di culture, di dialogo, di informazione sincera, come dimostrano anche i numerosi incontri da noi promossi. E’ proprio per questo che le istituzioni universitarie per prime non possono negare lo svolgimento di questi incontri: questa censura è parte di una cultura della paura ancella della violenza.
Pietro Piva, presidente del Coordinamento Liste Diritto allo Studio

A proposito di odio. Martedì 5 dicembre alle 19, a Roma, in Piazza del Popolo, la Comunità ebraica di Roma e l’Unione delle comunità ebraiche italiane scenderanno in piazza contro l’antisemitismo, per ricordare cosa significa dire di no al terrorismo e non cancellare ciò che è successo il 7 ottobre in Israele. Per dire mai più, bisogna avere memoria. E per avere memoria, a volte, bisogna anche scendere in piazza. Ci vediamo lì.


 

Al direttore - Il dibattito sulla questione giustizia innescatosi dalle dichiarazioni rese dal ministro Crosetto al Corriere della Sera sta prendendo una piega sbagliata, e per certi versi preoccupante. Da un lato la maggioranza e il governo lanciano accuse come se fossero all’opposizione, si muovono con i comunicati stampa anziché con le leggi in Gazzetta ufficiale. Dall’altro, l’ala giacobina della minoranza parlamentare si schiera acriticamente a difesa della magistratura, con una logica da tifoseria che ricorda una stagione non particolarmente eccelsa della nostra storia patria quando gli eredi del Pci immaginavano di cavalcare l’onda della protesta nel segno delle mani pulite e dell’enfasi sulla (presunta) funzione purificatrice della magistratura. In mezzo a questo bipolarismo radicale c’è di tutto. Magistrati inquirenti che sembrano a loro agio più in tv che in procura; correnti della magistratura che emettono comunicati come se fossero partiti; finti candori di chi fa finta che negli ultimi 30 anni non si sia svolta una costante azione di scontro tra una parte della magistratura e la politica. Dentro questo grande polverone, lo sforzo verso l’unica cosa da fare – ovvero la riforma della giustizia e il ripristino degli equilibri costituzionali che il Costituente saggiamente tracciò nel 1948 e che vennero bruciati nel sabba giustizialista degli anni 90 – viene nascosto e soffocato. Ogni parte si costruisce il proprio alibi per non cambiare nulla e lasciare inalterato un meccanismo rotto che però produce rendite di posizione (sia in politica sia nella magistratura) in un gioco di potere dove i diritti del cittadino a una giustizia giusta evaporano. Il ritorno al primato della politica, invocato ed evocato da taluni in queste ore, non è la corsa a iscriversi alle curve delle tifoserie pro o contro un ordine dello stato. E’ agire affinché la politica riprenda la propria essenziale funzione: legiferando, innovando, allargando gli spazi di democrazia attraverso il funzionamento delle istituzioni. Tutto il resto, davvero, ormai è noia.
Enrico Borghi, deputato, capogruppo Italia viva alla Camera
 

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