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Lettere

Turismo, salute, sicurezza… Roma sta giù, anche sotto Dubai

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Non ci potremmo immaginare le opere di Dickens senza Londra, né quelle di Balzac senza Parigi. Il legame tra Ennio Flaiano e Roma è della stessa natura. Così scriveva cinquant’anni fa: “… Tuttavia Roma è la mia città. Talvolta posso odiarla, soprattutto da quando è diventata l’enorme garage del ceto medio d’Italia. Ma Roma è inconoscibile, si rivela col tempo e non del tutto. Ha un’estrema riserva di mistero” (“La solitudine del satiro”). E inconoscibile e misteriosa resta oggi, come del resto inconoscibile e misterioso è il suo attuale primo cittadino.

Michele Magno

Vale lo stesso per chi scrive, quando si parla di Roma (adoro anche i cantieri che so che non finiranno mai, come quelli di piazza Venezia, piazza mai stata così ordinata da quando i cantieri della metro hanno disordinato tutto). Ma il “tuttavia” di Flaiano avrebbe tentennato di fronte a notizie come quelle contenute in questo rapporto: “Top 100 City Destinations Index 2023” di Euromonitor International. Si mettono a confronto 55 parametri su sei pilastri chiave tra le città di tutto il mondo. Performance economiche e aziendali; performance turistica; infrastrutture turistiche;  attrattività del turismo; salute e sicurezza; sostenibilità. A livello globale, Roma arriva dopo Parigi, Dubai, Madrid, Tokyo, Amsterdam e Berlino. Dubai, santo cielo, non so se mi spiego.


Al direttore - Grazie di esistere. Il Foglio su Israele è semplicemente perfetto. Altro che convivenza pacifica di due stati! E alla faccia di Guterres! In questo incredibile e inqualificabile contesto, suggerirei ai lettori del Foglio di rileggere, se non l’hanno ancora fatto,  “Sottomissione” di Houellebecq. Mi appare quantomai profetico, soprattutto quando mette alla berlina i rapporti della “gauche” con l’islam, e con chiunque dica di rappresentarlo e con chiunque osi criticarne i tratti più estremisti. Ancora grazie!

Nicoletta Laudi


Al direttore - Che quella inflitta al card. Becciu sia stata la classica condanna annunciata era chiaro anche a uno studente al primo anno di Giurisprudenza. Inutile girarci intorno: c’è stata una condanna “politica” a carico del card. Becciu, con annessa revoca seduta stante delle prerogative cardinalizie, che fin dall’inizio ha posto il processo su binari che non potevano non portare alla sentenza di colpevolezza, pena una figuraccia planetaria della Chiesa cattolica. Che poi il processo si sia svolto regolarmente e con tutti i crismi nessuno lo mette in dubbio, ma è opinione diffusa che sia servito solo a salvare la forma e le apparenze senza spostare di una virgola la sostanza. E la sostanza è che la vicenda in questione è stata usata per mandare urbi et orbi un messaggio forte e chiaro. Tanto forte e tanto chiaro che una testa doveva rotolare e con il dovuto risalto mediatico, e quella testa era la testa del card. Becciu. Ora qui interessa fino a un certo punto se il cardinale sia effettivamente colpevole oppure no, si vedrà con i successivi gradi di giudizio. Il punto qui è un altro, ed è innanzitutto il fatto che nei confronti dell’ex numero due della segreteria di stato la chiesa della misericordia cosiddetta ha mostrato un volto assai poco misericordioso; la qual cosa sbriciola per l’ennesima volta la narrazione mainstream dell’attuale corso ecclesiale. Il secondo aspetto, strettamente collegato al primo, è che l’affaire Becciu ha confermato una linea di pensiero (e di azione) secondo la quale i peccati che hanno a che fare con i quattrini e in generale con la giustizia oggi vengono giudicati più gravi di altri (ad esempio essere favorevoli all’aborto senza che questo pregiudichi l’accesso alla comunione, o commettere certi atti impuri). La qual cosa, oltre che essere alquanto discutibile in sé, è un altro elemento che testimonia della (voluta?) secolarizzazione in corso nella e della Chiesa. A meno che, ovvio, per qualche lungimirante interprete non sia riconducibile alla logica dell’et-et, principio cardine della teologia cattolica, anche il doppio standard in voga nella Chiesa di oggi per cui – essendo signora mia la realtà complessa e dovendo discernere – si usano due pesi e due misure a seconda delle circostanze. Col risultato che vescovi fedeli al depositum fidei vengono rimossi in tronco o privati di casa e stipendio, mentre vescovi che contraddicono con parole e opere la dottrina restano tranquillamente al loro posto. Poi parliamo di scandali.

Luca Del Pozzo

Sul caso la Cassazione è Matteo Matzuzzi, che ieri ha descritto il tema come meglio non si può: “Non è solo la comunicazione sbrigativa data ai cardinali al termine della riunione interdicasteriale del 20 novembre scorso sulla punizione inflitta al cardinale Raymond Leo Burke, ma è qualcosa di più: è la possibilità di spogliare – umiliando – un cardinale dei diritti connessi al cardinalato sulla base di uno scoop giornalistico, nel corso di un’udienza vis-à-vis durata più o meno venti minuti in un tardo pomeriggio settembrino. (...) Il processo s’è fatto (ottantasei udienze, compresa quella di sabato scorso, l’ultima), tutti colpevoli tranne uno (mons. Mauro Carlino, già segretario dell’allora sostituto, assolto da tutti i reati contestati, mentre l’accusa aveva chiesto cinque anni e quattro mesi oltre a una pena pecuniaria), Becciu è stato condannato in primo grado per truffa e peculato a cinque anni e mezzo di reclusione, ottomila euro di multa e interdizione perpetua dai pubblici uffici. E’ il primo cardinale nella storia a essere condannato da un tribunale vaticano, dopo che il Pontefice ha stabilito che tutti – anche i principi della Chiesa – devono, se necessario, essere sottoposti al giudizio di una corte e non solo a quello del vicario di Cristo in terra. Becciu colpevole e condannato, quindi, dopo una vicenda che è andata avanti per più di tre anni. Ma il Papa aveva già deciso, sulla base di un giornale e non ammettendo difese o discolpe”. E’ tutto vostro onore.
 

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