lettere al direttore
All'egemonia culturale italiana manca un brand. Ci scrive Sangiuliano
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Più volte ho evidenziato che non ha senso pensare a un’egemonia culturale della destra da sostituire a quella di sinistra. Stiamo dimostrando con i fatti – senza tirare in ballo questa volta la targa a Gramsci – che non ci sono casematte da assaltare. Ma c’è necessità, in ogni contesto, di garantire una cultura aperta e plurale senza censure e pregiudizi. Per evitare di cadere nella “grande truffa”, questa sì, del pensiero unico globale, l’unica egemonia che vogliamo creare è quella italiana, fatta di secoli di storia, arte, letteratura, musica e dei tanti contributi che l’Italia ha dato alla bellezza dell’umanità. Per conseguire questo risultato, stiamo lavorando alla costruzione di un nuovo immaginario positivo italiano nel mondo. E in prima linea in quest’opera si sta impegnando, con grande capacità e risultati eccellenti, il presidente del Consiglio Giorgia Meloni. A questo proposito è utile ricordare che, agli inizi del Novecento, tra il 1911 e il 1912, la rivista di Giuseppe Prezzolini La Voce, a cui collaboravano attivamente Giovanni Amendola, Giovanni Papini e Gaetano Salvemini, si schierò in maniera netta e argomentata contro l’intervento militare per la conquista della Libia: anziché imbarcarsi in un colonialismo tardivo e retrivo, sostennero i vociani, l’Italia doveva proiettare i suoi valori e la sua cultura nel mondo. Quello di Prezzolini e dei suoi collaboratori era l’approccio giusto: ricercare un’egemonia italiana, radicata nella nostra storia nazionale, consapevoli del fatto che più si sia solidi nella propria identità, più ci si possa aprire e dialogare con il mondo intero in maniera costruttiva. Orientati da questa bussola, in un anno abbiamo avviato efficaci collaborazioni con tante nazioni: il trattato sul cinema con il Giappone; le cooperazioni per i poli museali con gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita; l’impegno che i nostri esperti del Maxxi e della Triennale stanno mettendo nella ricostruzione delle città dell’Ucraina danneggiate dalla guerra; e tante altre intese con l’Armenia, il Kazakistan e, naturalmente, con tutti i nostri partner europei. Non io, ma l’Unione europea ci riconosce, attraverso una bella lettera della commissaria per l’Innovazione, la Ricerca e la Cultura Iliana Ivanova, di essere tra i migliori, se non i primi, per la capacità di spesa dei fondi Pnrr in ambito culturale. Stiamo lavorando per raddoppiare tre grandi musei nazionali: la Pinacoteca di Brera con Palazzo Citterio (il cantiere è già aperto), gli Uffizi con le due Ville Medicee di Careggi e Montelupo Fiorentino; il Museo archeologico nazionale di Napoli (Mann). E proprio a Napoli sta nascendo la più grande infrastruttura culturale d’Europa, con un grande progetto di recupero (anche qui il cantiere è già aperto) dell’ex Real Albergo dei Poveri, fatto edificare da Carlo III di Borbone e caduto in disuso dagli anni Settanta. Lì ospiteremo il secondo polo del Mann, l’Università Federico II con le sue scuole di eccellenza e una grande public library. A Venezia c’è un intervento di 169 milioni di euro per il potenziamento e lo sviluppo delle attività della Biennale. A Genova si sta lavorando al recupero del sistema dei forti genovesi, mentre a Reggio Calabria sta per nascere il Museo del Mediterraneo. A Pompei sono stati finanziati nuovi scavi che iniziano in questi giorni. Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha ceduto al MiC l’ex Spolettificio di Torre Annunziata, uno stabilimento militare in disuso che diventerà il museo di riferimento per Pompei, Oplontis ed Ercolano. A Capodimonte è in atto una grande rigenerazione (ancora una volta, il cantiere è già aperto) con un intervento di oltre 40 milioni per l’efficientamento energetico, l’eliminazione delle barriere architettoniche e il completamento del restauro della chiesa di San Gennaro, ideato dall’architetto Santiago Calatrava che ho incontrato personalmente. In un anno abbiamo messo in moto centinaia di progetti, ciascuno rilevante per il suo territorio, che spesso languivano nei cassetti. A Firenze è quasi pronto il Museo della lingua italiana, a Milano si lavora al Museo dell’Arte digitale e con un investimento di oltre cento milioni di euro al progetto Beic (Biblioteca europea di Informazione e Cultura). L’Italia è una superpotenza culturale, non tanto nell’accezione geopolitica del termine quanto piuttosto nel rappresentare un unicum nel mondo per i caratteri originali della sua storia. La nostra penisola, al centro del Mediterraneo, ha visto il succedersi di tante civiltà: Greci, Etruschi, Fenici, Romani, Bizantini, Arabi in Sicilia e Puglia, Goti, Longobardi, Normanni, Angioini, Aragonesi, Svevi e tanti altri. Ognuna ci ha lasciato qualcosa di pregevole, capace di armonizzarsi in un intreccio unico. Questa è l’egemonia italiana: l’identità unica di una nazione che è stata baciata dalla storia. Lungi da me ogni spericolato tentativo di “cannibalismo culturale”, ciò a cui stiamo lavorando è il recupero delle numerose radici da cui si nutre, cresce e prospera rigogliosa la nostra nazione. Che sono tante e ben ramificate, ma tutte da ricondurre a un unico fusto.
Gennaro Sangiuliano
ministro della Cultura
La sua è una lettera interessante, caro ministro, ma il nuovo immaginario positivo italiano nel mondo che lei vuole costruire passa anche dai numeri, dalla capacità cioè che l’Italia ha di mettere a frutto la sua ricchezza, di attrarre turisti, di vendere senza svenderlo il proprio brand in giro per il mondo, e nel lungo elenco che lei ci offre, oltre a raccogliere la sfida per trasformare l’intelligenza artificiale nella grande scommessa culturale per l’Italia di domani, oggi manca quello che forse sarebbe il progetto più ambizioso per un’Italia desiderosa di affermare la sua egemonia nel mondo: avere un suo grande museo nazionale, trasformarlo in un brand internazionale e diffondere quel brand ovunque nel globo terracqueo. Parigi ha il Louvre. New York ha il MoMa. Londra ha il British. Noi no. E temo che continueremo a non averlo. Buon lavoro e grazie.