Lettere
Per una deterrenza Ue anti Putin servono più soldi e meno fionde
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Nel dibattito in corso sul ruolo specifico che l’Ue può e deve svolgere dinnanzi all’instabilità dell’ordine mondiale, mi chiedo cosa si intenda per funzioni complementari dell’Europa e degli Stati Uniti nel quadro della politica di difesa militare in ambito Nato. Viene subito in risalto un nodo, che mi permetto di porre nel modo seguente: l’Ue e gli stati che la compongono possono difendersi da minacce militari e/o atti di guerra alla loro sicurezza (vedi l’aggressione della Russia all’Ucraina) fintantoché tutto resti sul piano della convenzionalità degli armamenti impiegati dall’aggressore, ma non se il livello di minaccia dell’aggressore (speriamo mai su quello di un attacco) si sposti sul terreno della potenza nucleare. In tal senso, l’Ue è quasi del tutto scoperta, nonostante la Francia sia una potenza nucleare, non in grado, però, di svolgere un compito di deterrenza continentale verso la Russia e tanto meno mondiale. Ecco perché gli Stati Uniti, superpotenza nucleare in ambito Nato, restano indispensabili e insostituibili. Si aggiunga, altresì, che l’Ue anche per una difesa convenzionale celere ed efficace necessita di uno schieramento stabile di circa trentamila uomini lungo i propri confini e di altri duecentomila pronti di riserva. Tutto questo vuol dire un aumento consistente delle spese militari in ogni paese dell’Ue, con un impatto molto sensibile anche nel comparto delle spese per le politiche sociali. Intendiamoci: l’aumento delle spese militari va affrontato e accettato per la nostra sicurezza e libertà. Nei gruppi dirigenti politici del nostro continente e dell’Italia c’è consapevolezza di un tale scenario e di quel che comporta?
Alberto Bianchi
Il ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, dice che “le minacce di Vladimir Putin contro gli stati baltici, la Georgia e la Moldavia devono essere prese molto sul serio”, che “non si tratta solo di un’azione di sciabola” e che “potremmo trovarci di fronte a dei pericoli entro la fine di questo decennio”. In Italia, e in Europa, e anche in Germania a dire il vero, si discute ancora se sia necessario e opportuno alzare al 2 per cento del pil la quota di spesa dedicata alla Difesa. Spunti utili per ragionare sul tema: rileggersi l’importante scoop fatto ieri da Politico sulle parole di Manfred Weber, capo dei Popolari europei, sulla necessità da parte della Francia di mettere l’atomica al servizio dell’Europa. Vogliamo discutere o no di deterrenza? Iniziamo con il mettere da parte le fionde, grazie.
Al direttore - Pare che Luca Barbareschi, eccellente uomo di teatro, abbia visto Zaia che camminava sulle acque e che nominava direttore dello Stabile del Veneto Filippo Dini, noto guevarista d’altri tempi. Zaia farà molti miracoli ma Dini l’ha nominato, per il programma che ha presentato, un cda avvezzo magari a sbagliare ma mai in conto terzi. Dal lontano Veneto con la consueta amicizia.
Giampiero Beltotto, presidente Teatro Stabile del Veneto teatro nazionale
Al direttore - In relazione all’articolo pubblicato mercoledì dal Foglio con il titolo “La Ferrari vuole tornare in Italia”, ci preme precisare che Eni Spa non ha la sua sede legale in Olanda, bensì in Italia, a Roma. In Olanda Eni ha una subholding per la gestione amministrativa di partecipazioni estere, che svolgono prevalentemente attività minerarie locali tramite filiali. Eni assolve direttamente nei paesi in cui opera agli obblighi fiscali derivanti dalle proprie attività industriali. Il regime fiscale olandese risulta peraltro comparabile a quello italiano, non vi sono vantaggi fiscali. Inoltre, nell’ambito della acquisizione del Gruppo internazionale Neptune Energy, Eni sta acquisendo nuove attività di produzione gas in Olanda. Nessuna attività industriale italiana di Eni è delocalizzata in Olanda. Cordialmente.
Ufficio stampa Eni