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Tra femministe anti Meloni e Queer for Palestine. Che manca?
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - L’appello alla ragione e alla salvaguardia delle conquiste delle donne, quello di Eugenia Roccella, va condiviso e rafforzato. Innanzitutto dalla chiarezza: le donne che manifestano in piazza l’8 marzo contro il patriarcato possono essere comprese, quelle che allo stesso tempo urlano “from the river to the sea”, vanno isolate e mandate a studiare la storia o perlomeno la cronaca. Di tutto abbiamo bisogno noi veterane del femminismo che farci sommergere da concetti e parole d’ordine contrari alla inflazionata inclusività, che portano diritti a un neo radicalismo del tutto inutile e privo di reali obiettivi. Woke e peggio ancora genderism si insinuano in un movimento femminile giovane attratto da facili stereotipi ma che va ascoltato, per capire. Comprensibile per principio ribellarsi al vecchio mondo e impegnarsi con fervore verso nuovi orizzonti. Ma il nemico non è il maschio (bianco) o chi sostiene “a man is a man, a woman a woman” (J. K. Rowling). Tanto meno scivolare (inconsapevolmente?) in quell’abisso dell’abiezione intellettuale che è l’antisemitismo dilagante.
Margherita Boniver
Femministe anti Meloni, Queer for Palestine, sostenitori dei diritti umani per Hamas: che altro manca?
Al direttore - E così sarebbe il solito delirio paranoico di scorgere antisemitismo dappertutto, come raccontava un simpatico protagonista di un film di Woody Allen. Lo sgozzamento efferato di bambini il 7 ottobre: ma sì, è stata una banda di criminali, l’abbiamo detto e ripetuto, li abbiamo già condannati moralmente. Ma ora che c’entra con la situazione attuale, si chiede un collega della mia università con fanciullesco stupore? Perché gridare all’antisemitismo (che è una cosa seria, ribadisce lui, ci mancherebbe!)? Il Senato accademico di Torino si è limitato a chiedere di interrompere gli accordi con Israele. Ma non per antisemitismo, bensì perché gli israeliani (e non parliamo di ebrei, per carità!) sono cattivi. E giù la lista di sofferenze (reali!) che la popolazione civile soffre. E che sono le sofferenze che le popolazioni civili soffrono nella cinquantina di guerre che si stanno combattendo al mondo oggi. E c’è la conta dei morti (ma che viene fornita da Hamas e accettata passivamente!) con tanto strazio per i bambini morti (da che pulpito!) mentre mai c’è stata tanta sensibilità, nel pubblico occidentale, per le stragi, di gran lunga maggiori, compiute in Siria da Assad e dalle truppe sovietiche e in tantissime altre occasioni. Il fatto è che tutto il racconto, così come è venuto a consolidarsi nei decenni, è frutto di una vulgata nata e arricchita in ambienti arabi con la complicità interessata dell’Unione sovietica, e accettata passivamente poi dal mondo occidentale per un atteggiamento ostile nei confronti degli ebrei (ecco l’elemento antisemita). E qui di comportamenti, frasi, dichiarazioni antisemite nell’ambito della destra e della sinistra (!), soprattutto in Francia, caro collega, te ne posso fare una lista! Il racconto, bugiardo, va rovesciato! Cominciamo dalla prima inesattezza: Israele non è nato per una passionevole generosità dell’Onu di fronte a degli sventurati, bensì da una risoluzione della Società delle nazioni del 1922, raccolta poi dall’Onu alla sua nascita nel 1945 (art. 80 del suo statuto). E, tra l’altro, il territorio loro assegnato (a tutti gli ebrei del mondo, non solo ai residenti, già in maggioranza a Gerusalemme) andava dal fiume al mare (che è lo slogan dei gruppi terroristi che vorrebbero buttare a mare gli ebrei per distruggere Israele) e quindi comprendeva tutta la Giudea e la Samaria (Cisgiordania) con la raccomandazione di includere gli arabi ivi residenti accettandone costumi e religioni (e oggi in Israele vivono due milioni di arabi). Ma veniamo a cose più recenti. Gli ebrei hanno respinto attacchi armati in più occasioni (1948, 1956, 1967, 1973). L’attacco del 7 ottobre scorso non è stata una ragazzata, è stato l’ultimo atto di guerra di Hamas che governa Gaza e Israele si trova attualmente in guerra anche con Hezbollah e gli houthi. E’ evidente che la popolazione araba ne soffra, ma è da dimostrare – al di là di bugie raccontate e smascherate – che la popolazione sia obiettivo primo dell’attacco militare. E non è un atteggiamento antisemita quello di disgiungere l’attacco criminale di Hamas del 7 ottobre con l’operazione condotta a Gaza, qualificata con l’orrendo termine di vendetta? E a proposito del progetto “due popoli, due stati”: trattati di Oslo 1 e 2 (e Camp David), approvati con fatica da Israele: non portarono a una soluzione definitiva, per il rifiuto palestinese a un riconoscimento effettivo e definitivo di Israele, anche se sanciva il controllo da parte di Israele della zona C della Cisgiordania consentendo quindi gli insediamenti tanto contestati. Il fatto è che nello statuto di Hamas è scolpito il progetto della distruzione di Israele. E la scelta degli Stati Uniti di consentire l’approvazione di una risoluzione che non condanna apertamente gli stupratori di Hamas è devastante, perché offre loro la certezza di una qualche immunità per il presente e per il futuro. E la tregua a Gaza, senza la distruzione totale del gruppo terrorista, rappresenterebbe di fatto una vittoria di Hamas. L’ipocrisia la fa da padrona quando si ammantano le proprie posizioni politiche con travestimenti “etici”. Un valore genuino come il pacifismo viene ora (e in altre occasioni) utilizzato cinicamente per veicolare posizioni politiche che di fatto premiano una delle parti in causa. E per una sinistra ahimè allo sbando e in preda a semplificazioni eccessive la lotta dei palestinesi diventa la rappresentazione plastica del povero contro il ricco, del proletario contro il borghese, del Terzo mondo contro l’occidente.
Roberto Sinigaglia, presidente del Centro internazionale di Studi italiani (Cisi) dell’Università di Genova, già professore ordinario di Storia dell’Europa orientale