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Lettere

È ora di occuparsi anche delle carceri italiane, anche se non c'è un Orbán da denunciare

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Ho letto con interesse l’analisi del voto in Basilicata pubblicata sul Foglio di cui condivido molti aspetti. E’ evidente come il Pd che si appiattisce sul M5s e cede alle richieste di Giuseppe Conte sia destinato alla sconfitta. La chiusura pregiudiziale al centro non solo è un errore tattico, ma costituisce anche un modo di fare politica che non è il nostro. E l’operazione Basilicata lo dimostra: la nostra è una visione nuova e dinamica del centro. Un’area politica riformista, liberale, popolare, europeista, che non fa la scelta aprioristica di schierarsi con il centrosinistra e non ha una collocazione stabile in quel campo, soprattutto se “largo” ed egemonizzato dal Movimento 5 stelle. Ma che si muove sulla base dell’interesse dei cittadini e dei territori, e riesce, con la sua presenza, a spostare le coalizioni su posizioni più liberali. La stessa funzione virtuosa che esercita quando governa con il centrosinistra, rendendolo più riformista. Questo modo di intendere l’azione del centro parte con le comunali di Genova, dove portammo avanti una operazione molto simile, raggiungendo poi risultati analoghi: un ridimensionamento della destra e una amministrazione più equilibrata. Numeri alla mano, il centro in Basilicata vale il 15 per cento, senza il quale Bardi non avrebbe vinto. Naturalmente, è uno schema che non si può applicare ovunque e, meno che mai, a livello nazionale ma devono esserci precise condizioni: un candidato credibile, moderato, una persona del fare che mette al primo posto l’interesse dei cittadini, come Vito Bardi in Basilicata e Marco Bucci a Genova, o Luciano D’Amico in Abruzzo sul versante opposto. Un altro dato da sottolineare è che, quando ci presentiamo con queste formazioni centriste con forti connotazioni territoriali, come Orgoglio lucano, alleate del centrodestra, i nostri candidati ottengono risultati straordinari. E non lo facciamo con i cosiddetti cacicchi. Ma con donne e uomini impegnati sul territorio, non capibastone. Ricordo i casi di Davide Falteri, Mauro Avvenente e Arianna Viscogliosi a Genova, ma anche Mario Polese e Luca Braia in Basilicata. Polese è stato rieletto consigliere, mentre Braia non ce l’ha fatta per pochissimo ma ha ricevuto una valanga di voti a Matera. La nostra visione di centro è molto pragmatica: da riformisti, facciamo politica per incidere sulla vita delle persone, non per sventolare bandierine. Lo facciamo sui territori e in Parlamento, con voti che non sono mai pregiudiziali ma sempre nel merito. Lo facciamo alle europee, dove il sistema proporzionale ci permette di presentarci al centro con la lista degli Stati Uniti d’Europa. L’obiettivo è quello di essere determinanti nell’accompagnare l’Europa ad abbandonare la grigia strada della burocrazia per imboccare quella delle riforme istituzionali e della politica. La nostra strategia punta a un’ampia affermazione dei riformisti per farli contare di più a tutti i livelli di governo. E nonostante il rifiuto di Calenda, che non ha voluto, secondo me sbagliando, dare il suo contributo, siamo comunque andati e saremo la vera rivelazione di queste elezioni.

Raffaella Paita, coordinatrice nazionale di Italia viva

Due annotazioni a margine. Prima notizia interessante: i partiti di centro hanno capito che andare da soli non porta a nulla e hanno scelto, anche in questa occasione, di scegliere da che parte stare, non di restare con il cerino in mano al centro. Bene. Seconda annotazione a margine: dopo la Basilicata, l’esperimento del campo largo della destra allargato al centro si ripeterà verosimilmente anche in Calabria e anche in Piemonte. Non sarebbe il caso di farlo valere in Parlamento non per entrare in maggioranza ma per costruire un patto con la maggioranza per riformare l’Italia aiutando Meloni a tenere lontano l’estremismo dall’agenda del paese? Pensarci.



Al direttore - Torture, pestaggi, tentativo di stupro su detenuti minorenni: 13 agenti arrestati al Beccaria di Milano. Che cosa stavamo dicendo sulle carceri in Ungheria?
Giuliano Cazzola

Verrà il giorno in cui la politica si interesserà delle carceri non solo quando il tema può essere sinonimo di consenso (Salis) ma anche quando il tema può essere sinonimo di buon senso. Verrà il giorno in cui la politica – di fronte ai 1.754 detenuti morti suicidi negli ultimi 32 anni, di fronte alle morti per malattia, overdose, omicidio e cause da accertare che arrivano a quota 2.912, secondo Stefano Anastasìa, Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale del Lazio, di fronte ai 4.686 detenuti morti in carcere negli ultimi 32 anni, di fronte ai 61 mila detenuti che in Italia si trovano in carceri che ne possono contenere al massimo 48 mila – capirà che occuparsi di carceri significa occuparsi della nostra capacità di saper proteggere qualcosa che ha a che fare con la nostra democrazia: il nostro stato di diritto. Non serve candidare una Salis per occuparsi di carceri. Basta occuparsene, pensando un po’ meno al consenso e un po’ più al buon senso.


Al direttore - Angelo Chiorazzo e Marcello Pittella, con più di 7 mila voti a testa,  sono i due consiglieri regionali più suffragati in Basilicata. Proprio i due su cui c’era il veto dei 5 stelle, e quindi, a ruota, del Pd. Chiorazzo era il candidato presidente in pectore del centrosinistra, prima che Conte lo bandisse senza motivo e il Pd lo sacrificasse in nome del campo largo. Pittella è stato in trattativa col Pd fino all’ultimo giorno, finché hanno deciso di non riconoscergli l’apparentamento costringendolo, dopo una vita come rappresentante delle massime istituzioni sotto l’insegna dem, a candidarsi nel centrodestra. Più che bisticciare sul nome di Elly nel simbolo, il Nazareno dovrebbe riflettere su come hanno sacrificato per un processo da cui è stata totalmente assolta, una famiglia che ha dato lustro alla sinistra italiana sino ai vertici del Pse. Massacrando nel gioco delle correnti e della fedeltà, una esperienza politica, culturale, territoriale e umana che ha tracciato la storia del partito. Gli elettori lo hanno riconosciuto.
Annarita Digiorgio
 

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